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Deontologia avvocati: il pressing sui testi legittima la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale

Le Sezioni Unite confermano lo stop al legale che aveva difeso la moglie di un ex cliente inducendo i testi a deporre a suo sfavore


di Marina Crisafi - Se è lecito per l'avvocato intrattenersi con un teste purchè il contattonon sia teso ad avere un vantaggio processuale (come abbiamo scritto qualchegiorno fa, leggi “L'avvocato può scambiare “due chiacchiere” col testimone?”)certo non gli è consentito esercitareforzature o suggestioni finalizzate ad ottenere dichiarazioni favorevoliper il proprio assistito o comunque sfavorevoli per la controparte, specie sequesta è rappresentata da un ex cliente.In tal modo, l'avvocato commette ben dueilleciti deontologici che legittimano la sospensione dall'attività.

A stabilirlo sono le Sezioni Unitedella Cassazione con la sentenza n. 12183 depositata oggi, confermando lacondanna di un legale a quattro mesi disospensione per avere difeso la moglie di un farmacista (suo ex cliente perdelle controversie di lavoro) nella causa di separazione personale tentando di precostituire elementi negativi di provasull'uomo tramite i testimoni, convocati con metodi poco “ortodossi” previa minaccia di accompagnamento coattocon i carabinieri e indotti a deporre su presunte irregolarità contabilidell'uomo nella farmacia.

In realtà gli illeciti sarebbero quattro: non solo infatti violazione del divieto imposto dall'art. 68 del codicedeontologico forense (già art. 51 del codice previgente) per aver difeso lamoglie dell'ex assistito e dei doveri di lealtà e correttezza riguardo airapporti con i testimoni sanciti dall'attuale art. 55 Cdf, nonché quelli diprobità, dignità e decoro propri della professione forense (di cui all'art. 9),ma anche il divieto di impugnazione della transazione raggiunta con il collegaex art. 44, come risultava dal secondoesposto presentato a suo carico da due clienti, i quali affermavano che illegale dopo aver partecipato con un collega di controparte alla redazione diuna scrittura transattiva l'aveva disconosciuta e contestata.

Preso attodelle multiple violazioni perpetrate, ilPalazzaccio non ha avuto dubbi nel condividere la tesi dei giudici di merito cheavevano condannato il difensore alla sospensione di quattro mesi.

Quanto alladifesa contro l'ex cliente, infatti, il codice parla chiaro e prevede un “termine biennale dalla cessazione delrapporto professionale per l'assunzione dell'incarico” a nulla rilevando,come sostenuto dal ricorrente, che l'incarico assunto fosse differente rispettoal precedente né lo stato del processo, la cui pendenza solo formale, non fa“comunque venir meno il rapporto di mandato ed il conseguente obbligo”deontologico.

Quanto ai testimoni, poi, nessun dubbio sulle“forzature o suggestioni” messe in atto per conseguiredeposizioni compiacenti e come tali vietate “a tutela della correttaamministrazione della giustizia, che potrebbe essere messa in pericolo daavvertimenti e pressioni”.

Analogo il ragionamento sulla violazione relativa allatransazione, per la quale non passa la tesi che la stessa fosseavvenuta senza l'intervento degli avvocati e che non vi fosse stata alcunafirma, come asserito dal ricorrente. Il Cdf, infatti, ha affermato la SupremaCorte “nel prevedere il divieto diimpugnare la transazione intervenuta, contiene la sola esimente dei fatti nonconosciuti o sopravvenuti”.

Quanto, infine,ai doveri di probità, dignità e decoro la violazione, sulla scorta di quantoindicato, è praticamente implicita.

Per cui ilricorso è rigettato e l'avvocatocondannato allo stop dalla professione e al pagamento del doppio del contributoex art. 13 comma 1-quater del D.p.r. n. 115/2002.

Data: 12/06/2015 18:45:00
Autore: Marina Crisafi