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Corte Costituzionale: la legge n. 241/90 non si tocca.

La carenza di motivazione del provvedimento non è sempre motivo di annullamento


“CorteCostituzionale: la legge n. 241/90 non si tocca.

La carenza di motivazionedel provvedimento non è sempre motivo di annullamento

La CorteCostituzionale con l'ordinanza n. 92 del 29 aprile 2015 ha deciso perl'inammissibilità della questione promossa dalla Corte dei Conti della RegioneSicilia e relativa alla presunta illegittimità costituzionale dell'art. 21 -octies, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90.

La questionetrae origine da un procedimento pendente innanzi alla Corte dei Conti siciliana,sez. giurisdizionale, avente ad oggetto l'istanza di annullamento dell'atto concui la Direzione Regionale dei servizi di quiescenza del Fondo Regionalepensionistico aveva comunicato ad una pensionata “l'avvio del procedimento” peril recupero per somme indebitamente percepite dalla stessa e pagate dall'Ente.

La pensionata,in sede di opposizione, lamentava nel merito la carenza di motivazione in fattoed in diritto della comunicazione di avvio del procedimento; invece,processualmente, lamentava che l'amministrazione regionale avrebbe fornito, conla memoria di costituzione in giudizio, delle motivazioni integrative dellaimpugnata comunicazione sul presupposto dell'art. 21 - octies della legge n.241/90.

L'art. 21 -osties, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90 recita: “Non e' annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sulprocedimento o sulla forma degli atti qualora, per lanatura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Secondo la teoriaproposta dalla ricorrente, tale disposizione di legge darebbe all'amministrazione resistente un indebito vantaggio poichéconsentirebbe l'integrazione in sede processuale della motivazione delprovvedimento amministrativo, anche dopo un rilevante periodo di tempo.

Perciò il giudiceremittente ha sollevato la questione innanzi alla Corte Costituzionale inquanto l'art. 21 - osties, co. 2, primo periodo, della legge n. 241/90 si porrebbein contrasto con:

- gliartt. 24, 97 e 113 della Cost., atteso che “l'obbligodi motivazione dei provvedimenti amministrativi costituisce un corollario deiprincipi di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione”;

- l'art.117 della Cost., poiché la norma in questione “contravverrebbe i principidell'ordinamento comunitario come interpretati dalla Corte di Giustiziaeuropea, la quale avrebbe affermato l'impossibilità di integrare la motivazionedi un provvedimento amministrativo nel corso del processo”;

- l'art.3 della Cost., per la disparità di trattamento che ne conseguirebbe, in terminidi tutela giurisdizionale, con l'effetto che il giudice, in violazione delprincipio di separazione dei poteri, potrebbe sostituirsi all'amministrazioneintegrando la motivazione dell'atto.

La Consulta,nell'esaminare la questione sollevata, ha riscontrato innanzitutto che “l'ordinanza di remissione muove da unaincompleta ricostruzione del quadro giuridico” e che comunque, secondol'indirizzo formatosi in materia di giudizio pensionistico, l'atto della P.A., nellafattispecie proposta, ha natura meramente ricognitiva del procedimentoamministrativo avviato in favore dell'assicurato e perciò ne deriva chel'inosservanza, da parte dell'Istituto previdenziale, delle regole proprie delprocedimento, come più in generale, delle prescrizioni concernenti il giustoprocedimento, dettate dalla legge n. 241/90 o dai precetti di buona fede ecorrettezza, “non dispiega incidenzaalcuna sul rapporto obbligatorio avente ad oggetto quella prestazione”.

Inoltre, secondola Corte Costituzionale, la remittente A.G. non spiega se e come superarel'impostazione giurisprudenziale che esclude l'incidenza delle violazioniprocedimentali o di altre regole derivanti dalla legge n. 241/90 sul rapportoobbligatorio di fonte legale avente per oggetto prestazioni pensionistiche epertanto tale carenza motivazionale “precludeogni verifica per la Consulta stessa in ordine alla rilevanza della questioneprospettata”.

L'esame dellaConsulta, comunque, non si è limitato alla carenza di motivazione in ordine alrequisito della rilevanza, ma altresì, nel merito, riguardo al fatto chequand'anche si dovesse ritenere la norma impugnata applicabile nel tipo dicontenzioso in esame (giudizio pensionistico), la remittente non ha preso inesame il fatto che “il difetto dimotivazione nel provvedimento non può essere in alcun modo assimilato allaviolazione di norme procedimentali oa vizi di forma” se la P.A. dimostrache l'atto dispositivo non sarebbe stato diverso da quello in concreto adottato.

Sostanzialmenteperò la Consulta bacchetta, istituzionalmente parlando, il giudice remittentepoiché quest'ultimo si è “sottratto al doveroso tentativo di sperimentarel'interpretazione costituzionalmente orientata in applicazione al principiosecondo cui una disposizione di legge può essere dichiaratacostituzionalmente illegittima solo quando non sia possibile attribuirle unsignificato che la renda conforme ai parametri costituzionali invocati”.

Su queste premessela Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione sollevatadalla Corte dei Conti siciliana, la quale avrebbe teso la richiesta diintervento della Consulta ad ottenere un improprio avallo ad una determinatainterpretazione della norma censurata.

Lì, 28.05.2015.

Dott. Patr. Leg. AngeloLucarella

Data: 30/05/2015 11:10:00
Autore: Dott. Angelo Lucarella