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Responsabilità medica: uso del forcipe in occasione del parto.

Con la sentenza n. 280/15 allegata la Cassazione si è occupata di un caso di responsabilità medica per fatti verificatisi durante un parto.

Avv. Francesco Pandolfi
Con la sentenza n. 280/15 la Corte di Cassazione si è occupata di un caso di responsabilità medica per fatti verificatisi durante un parto.
Una giovane donna, giunta al termine della gravidanza, veniva ricoverata su indicazione del proprio medico che l'aveva seguita durante la gestazione presso una Casa di Cura.
All'esito del travaglio, dopo diversi tentativi di espulsione naturale del feto, non essendo piu' praticabile il taglio cesareo, il ginecologo aveva deciso di estrarre il bambino facendo uso del forcipe.
Il neonato, manifestando sintomi di sofferenza perinatale, veniva trasferito la sera stessa della nascita in ospedale, dove veniva formulata diagnosi di emorragia endocranica da parto distocico.

Deducendo che il figlio, a causa dell'imperizia del sanitario, fosse affetto da tetraparesi spastica, microcefalia e ritardo motorio, i genitori agivano innanzi al Tribunale chiedendo il risarcimento dei danni subiti.
Il giudice adito dichiarava il ginecologo responsabile nella misura di un terzo dei pregiudizi lamentati dagli attori, condannandolo al pagamento in loro favore della somma di euro 375.000,00.
In appello, la Corte, in riforma della impugnata sentenza, condannava il sanitario al pagamento, in favore dei genitori quali legali rappresentanti, della somma di euro 434.000,00, nonche' in favore degli stessi in proprio, della somma di euro 83.000,00 ciascuno.
Quando il caso approdava in Cassazione, la Suprema Corte (sentenza n. 280 del 13.01.2015) confermava come l'errato impiego del forcipe dovesse ritenersi fattore causale essenziale nella eziologia della patologie che avevano afflitto il piccolo, determinandone l'invalidita' nella misura del 100%.
Del resto - aggiungeva - una volta allegata la responsabilita' del ginecologo per il mancato espletamento del parto cesareo malgrado la manifestatasi sofferenza fetale, sarebbe stato onere del convenuto dimostrare o che nessun rimprovero, di scarsa diligenza o imperizia, poteva essergli mosso, oppure che, pur essendovi stato inesatto adempimento, questo non aveva avuto alcuna incidenza nella produzione del danno.
Nel corso del giudizio si era anche dedotta la preesistenza di un danno cerebrale prenatale, ma la Corte evidenzia che il convenuto ha fatto solo un riferimento generico a una non meglio specificata situazione congenita e non ha assolto all'onere probatorio.
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3286090590 francesco.pandolfi66@gmail.com
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Data: 21/06/2015 23:00:00
Autore: Avv. Francesco Pandolfi