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Avvocati: se il collega firma gli atti va pagato anche se non c'è formale procura

Secondo la Cassazione la procura ha funzione di atto ad efficacia esterna, idoneo a giustificare nei confronti dei terzi la difesa ad opera del professionista


L'avvocato che fafirmare l'atto processuale a un collegae gli chiede di partecipare alle udienze devecorrispondere il compenso professionale anche in assenza di rituale procura. Lo ha deciso la Cassazione,con la sentenza n. 2321 del 6 febbraio2015, rigettando il ricorso di un avvocato che si rifiutava di pagare laparcella a una collega per la rappresentanza e il patrocinio dalla stessasvolti in un procedimento civile in suo favore, contestando la mancanza di rituale procura ad litem,non deducibile dalla mera indicazione nell'intestazione dell'atto dicostituzione del nome e della firma della collega oltre che dalla suapartecipazione alle udienze attestata dai verbali di causa.

Posto che ilconferimento del mandato e dell'espletamento dell'incarico erano circostanzeacclarate e ammesse dallo stesso ricorrente, la S.C. ha affermato che la procura ha funzione di “atto adefficacia esterna, idoneo a giustificare: nei confronti dei terzi, ladifesa, ad opera del professionista, in favore del cliente e, nei confronti diquest'ultimo, l'assunzione di iniziative processuali destinate a incidere nellasua sfera giuridica – mentre il mandatoprofessionale è atto a rilevanza interna, necessario per la riferibilitàdegli effetti della, sicuramente svolta, attività professionale della quale sichiede il pagamento”.

Pertanto, “il rigore formale che presidia ilconferimento della procura e la sua stessa esistenza sono funzionali al primo dei due aspetti ma non toccano il secondo chedipende solo dal riscontrato esercizio di una valida difesa in favore delcliente stesso”. Per cui la mancanza della procura in capo alla collega avrebbepotuto comportare soltanto il pericolo chela controparte in giudizio ritenesse invalide le iniziative processualidalla stessa adottate in nome del professionista difeso, ma nell'ambito delladifesa concretamente assunta ad assumere rilievo era soltanto “che vi fosse stata una determinata attivitàprocessuale da parte del professionista e che essa si fosse efficacementesvolta nell'ambito della co-difesa”.

In sostanza, haconcluso la Cassazione, rigettando ogni doglianza, ciò che conta non è ladimostrabilità dell'esistenza della procura, quanto la funzione che la stessa è destinata ad adempiere, ossia la“riferibilità al cliente degli effetti dell'attività professionale svolta” anulla rilevando, invece, la problematica “se l'esistenza del mandatoprofessionale (e la conseguente insorgenza delle obbligazioni tra cliente edifensore), una volta che sia stato in concreto ed efficacemente espletato, possa essere dimostrata anche in assenza diuna formale procura”.

Data: 10/02/2015 19:30:00
Autore: Marina Crisafi