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Appropriazione indebita: legittime le telecamere nascoste per “beccare” i prelievi della cassiera

Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 2890 depositata il 22 gennaio 2014


Se l'obiettivo è quellodi accertare comportamenti delittuosi,le videoriprese effettuate contelecamere installate sui luoghi dilavoro sono legittime e utilizzabili nel processo penale.

Lo ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 2890 depositata il 22 gennaio 2014,pronunciando la condanna definitiva per il reato di appropriazione indebitaaggravata nei confronti della dipendente di un supermercato, “beccata” proprio dalle telecamere a intascare le somme versate dai clientialla cassa per pagare la spesa.

Il proprietario delsupermercato si era accorto degli ammanchi e non disposto a tollerare oltreaveva installato, tramite un investigatore privato, una telecamera nascosta nel negozio puntata proprio sulla cassa. Così aveva scoperto che la dipendente,in più occasioni, si era impossessata del denaro ricevuto dai clienti.

Condannata anche inappello (seppur con riduzione della pena inflitta), la cassiera si rivolgeva alla Cassazione, dolendosi dellaqualificazione del fatto come appropriazione indebita aggravata anziché furtoed eccependo l'inutilizzabilità delle videoriprese effettuate dal datore dilavoro per violazione degli artt. 4 e 38 dello Statuto dei lavoratori.

Ma per la secondasezione penale della S.C. il ricorso èinfondato.

Richiamando la pacificagiurisprudenza in materia, i giudici del Palazzaccio hanno affermato, infatti,la legittimità dell'utilizzo “nel processopenale delle videoriprese effettuate con telecamere installate nei luoghidi lavoro per accertare comportamenti potenzialmente delittuosi”.

Se i risultati dellevideoriprese, hanno chiarito gli Ermellini, mirano ad “esercitare un controllo a beneficio dei patrimonio aziendale messoa rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori” sono utilizzabili nel processo penale anche se l'imputato è il lavoratoresubordinato, giacchè le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidiodella riservatezza dei lavoratori “non fanno divieto dei cosiddetti controllidifensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l'esistenza diun divieto probatorio”.

A maggior ragione,quindi, tali risultati devono considerarsi “provedocumentali acquisibili ex art. 234 c.p.p.” nel caso di specie, hanno conclusogli Ermellini, dove lo svolgimento dei fatti ha dimostrato in manierainequivocabile che le riprese non erano finalizzate ad un controllo dellavoratore a distanza, vietato dallo Statuto dei lavoratori, bensì alla difesadel patrimonio aziendale.

Data: 28/01/2015 09:40:00
Autore: Marina Crisafi