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Cassazione: illegittimo il licenziamento del dipendente che offende il capo in un atto difensivo

Non costituisce illecito disciplinare né fattispecie determinativa di danno ingiusto - grazie alla scriminante di cui all'art. 598 co. 1 c.p., avente valenza generale nell'ordinamento


Non costituisce illecito disciplinarené fattispecie determinativa di danno ingiusto - grazie alla scriminante di cui all'art. 598 co. 1 c.p.,avente valenza generale nell'ordinamento - attribuireal proprio datore di lavoro in uno scritto difensivo atti o fatti, pur nonrispondenti al vero, concernenti in modo diretto ed immediato l'oggetto della controversia, ancorché tale scritto contenga, in ipotesi,espressioni sconvenienti od offensive (soggette solo alla disciplinaprevista dall'art. 89 c.p.c)”.

Lo ha deciso lasezione lavoro della Cassazione, conla sentenza n. 26106 dell'11 dicembre2014, dando ragione al dipendente di una banca che aveva impugnato illicenziamento disciplinare intimatogli per avere “diffamato” l'istituto affermando di non aver ricevuto un preavvisodi revoca relativamente all'opposizione ad un'ordinanza ingiunzione e per averemesso un assegno bancario su un conto corrente chiuso.

L'uomo ricorrevaper Cassazione impugnando la sentenza della Corte d'appello di Ancona che aveva confermato la legittimità dellicenziamento ritenendo sussistente ildanno all'immagine a carico dell'istituto di credito addebitandogli lacondotta in quanto dipendente dello stesso, laddove, invece, le sue asserzioninon potevano essere considerate diffamazione poiché contenute in uno scrittodifensivo e, quindi, avvenute al di fuori dell'esercizio delle mansioni.

Per la S.C. il motivo è fondato.

Alla condottarimproverata al dipendente è applicabile, infatti, secondo la Cassazione, la causa di giustificazione ex art. 598,1° co., c.p., che costituisce applicazione del più generale principiodell'art. 51 c.p., poiché “le frasiritenute diffamatorie concernevano in modo diretto ed immediato l'oggetto dellacontroversia (vale a dire l'insussistenza degli estremi dell'illecitoamministrativo di cui all'art. 28 d.lgs. n. 507/1999) ed erano funzionali alleargomentazioni svolte a sostegno della tesi difensiva prospettata”.

Tale scriminantedi portata generale - ha spiegato la Corte - è pacificamente applicabile anche al contenuto di scrittidifensivi relativi a giudizi civili e a maggior ragione nel caso di specie,in cui le affermazioni ritenute non veritiere si rinvenivano in uno scrittodifensivo depositato nel corso di un giudizio in cui l'istituto di credito eraestraneo e le stesse non solo “erano strettamente pertinenti all'oggetto dellacontroversia – ma anche – formulate in maniera tutt'altro che sconveniente, noncontinente o comunque oltraggiosa”.

Infine, haconcluso la Corte accogliendo il ricorso e cassando la sentenza con rinvio, non è da ritenersi sussistente nellacondotta addebitata al lavoratoreneppureun'astratta potenzialità lesiva in termini didanno all'immagine della società, atteso che quest'ultimo, megliodefinibile come danno alla reputazione aziendale, può sussistere soloallorquando l'atto lesivo che determina la proiezione negativa sullareputazione dell'ente sia immediatamente percepibile dalla collettività o daterzi”.


Data: 19/12/2014 08:00:00
Autore: Marina Crisafi