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Rapporti tra favoreggiamento della prostituzione ed esercizio di una casa di prostituzione - questioni connesse

Cassazione Penale, sentenza n. 44915/2014


di Filippo Lombardi - Annotazione a Cassazione Penale, sez. III, 29 ottobre 2014 (ud. 23 aprile 2014), n. 44915.

Conla sentenza in epigrafe, la Corte di Legittimità affronta il tema del rapportotra i reati di favoreggiamento della prostituzione (art. 3 n. 8 L. 75/1958) edesercizio di una casa di prostituzione (art. 3 n. 1 L. 75/1958), allorché ilprimo consista nell'attività di inserzionistica pubblicitaria funzionale alregolare svolgimento del secondo.

Disattendendole statuizioni della Corte di Appello di Milano, il Giudice della Nomofilachiaribadisce il costante insegnamento per cui tra le due figure criminose nonsussiste concorso di reati, bensì rapporto di continenza (v. in senso conformeCass. pen., sez. III, 27 ottobre 2011, n. 38941), nel senso che il reato di favoreggiamento è daconsiderare assorbito nel reato di esercizio della casa di prostituzione:infatti, è la seconda fattispecie citata a caratterizzarsi per maggioreampiezza, in quanto radicata su una (sia pur rudimentale) strutturaorganizzativa teleologicamente orientata a consentire incontri sessuali.

Dettoaltrimenti, le condotte che tendono alla pubblicizzazione del luogo in cui sisvolge il meretricio non vanno incluse in un alveo dogmatico autonomo (vale adire in una figura criminosa a sé stante), dovendo - per contro - esserevalutate come un ordinario segmento funzionale della più ampia fattispecierelativa all'esercizio della casa di prostituzione, finendo per esaurire in essail proprio disvalore penale; ciò - aggiunge la Corte - a condizione che lecondotte (di pubblicizzazione e di esercizio del meretricio) attengano ad un unico contesto di azione,vale a dire che la condotta pubblicitaria deve riferirsi proprio ai luoghi incui si svolge il meretricio sussumibile nella fattispecie assorbente.

LaCorte di Cassazione statuisce altresì sulla configurabilità del reato di sfruttamento della prostituzione (art.3 n. 8 L. 75/1958) nel particolare caso in cui il gestore di un centro massagginel quale vengano praticati, oltre ai consueti massaggi, gli atti sessuali menzionati,ottenga - grazie alla “attività extra” - un aumento di flussi finanziariconnessi all'attività lecita. La risposta del Supremo Collegio è in sensoaffermativo, caratterizzandosi la nozione di “sfruttamento della prostituzione”come ottenimento di “un consapevolevantaggio direttamente ricollegabile sia sotto il profilo causale che sottoquello economico al compimento di atti di prostituzione da parte di altrisoggetti”: tale vantaggio ècertamente riscontrabile nel maggior ricavo che un'attività a base lecitaottiene grazie alla intensa attrattiva che il luogo ove essa si svolgeesercita sui clienti a causa del suoconnesso risvolto illecito.

Infine,la Suprema Corte esclude la possibilità di riconoscere al soggetto agente l'attenuante del concorso doloso dellapersona offesa (art. 62 n. 5 cod. pen.), consistente nell'eserciziodell'attività di meretricio da parte della prostituta. La Corte statuisce insenso negativo poiché l'attenuante in parola è in assoluta frizione con i reati di favoreggiamento esfruttamento della prostituzione, per tre motivi:

a) la volontà della prostituta divendere il proprio corpo si erge ad elementocostitutivo delle due fattispecie criminose, non potendo contemporaneamenteassumere la qualifica di elemento accidentale. Volendo indugiare sul punto,l'affermazione ben si comprende allaluce dell'art. 4 della Legge 75/1958, il quale aggrava la pena nel caso incui chi commmette i fatti vietati lo faccia con violenza, minaccia o inganno,nei quali casi certamente non sussiste la volontà della prostituta nel sensosuesposto. Da ciò si evince come le fattispecie vietate dall'art. 3 Legge cit.,nella propria portata fisiologica, vantino quale elemento costitutivo proprio ilprofilo volontaristico sussistente in capo a chi vende il proprio corpo.

b) la prostituta non potrebbe inogni caso essere definita “persona offesa” dal reato, ma piuttosto “soggetto danneggiato” o “soggettopassivo”.

c) l'attenuante si applica quandoil fatto doloso della persona offesa si lega eziologicamente all'eventodivenendone concausa, e non quando - come nel caso posto alla nostra attenzione- assume le fattezze della mera“occasione” rispetto alla sua determinazione. A ben vedere infatti non èl'attività di meretricio a violare il bene giuridico tutelato, bensì l'attivitàillecita che vi ruota intorno, sicché nonè dato rilevare alcun nesso causale tra il fatto doloso dellaprostituta e la lesione dell'interesse giuridico. L'offesa nei riguardi diquest'ultimo è ascrivibile essenzialmente al fatto dei soggetti agenti, mentrela volontà della prostituta si accompagna ad esso in termini di pura occasione dalla quale trarre vantaggio o su cui innestare la propria condotta penalmente rilevante.

Data: 03/11/2014 16:50:00
Autore: Filippo Lombardi