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Cassazione: no al licenziamento del lavoratore che durante l'assenza per malattia viene sorpreso a svolgere l'attività di cacciatore



La Corte dicassazione, con sentenza n. 4869 del 28 febbraio 2014, decidendo in merito allicenziamento di un dipendentecon mansioni di autista e guardia giurata, licenziato aseguito di contestazione disciplinare per essere stato visto in abiti dacacciatore in tre giorni in cui era assente dal lavoro per malattia, ha ricordato,come da costante giurisprudenza di legittimità, che "l'espletamento dialtra attività, lavorativa ed extralavorativa, da parte del lavoratore durantelo stato di malattia è idoneo a violare i doveri contrattuali di correttezza ebuona fede nell'adempimento dell'obbligazione e a giustificare il recesso deldatore di lavoro, laddove si riscontri che l'attività espletata costituiscaindice di una scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute ed airelativi doveri di cura e di non ritardata guarigione, oltre ad esseredimostrativa dell'inidoneità dello stato di malattia ad impedire comunquel'espletamento di un'attività ludica o lavorativa. La prova dellaincidenza della diversa attività lavorativa o extralavorativa nel ritardare opregiudicare la guarigione ai fini del rilievo disciplinare di tale attivitànel corso della malattia, è comunque a carico del datore di lavoro.".

Precisano igiudici di legittimità che la Corte d'appello, considerando che, ritenutiveritieri e non contestati i certificati medici di malattia, è rimasta nonprovata la tesi della datrice di lavoro secondo cui il dipendente, svolgendoattività di cacciatore in giorni in cui era assente per malattia, avrebbe messoa repentaglio la propria salute, ritardando la guarigione e causano il relativodanno al datore di lavoro e non potendo affermarsi che tali episodi incrininoil vincolo fiduciario in modo tale da costituire giusta causa di licenziamento,ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati "sebbeneabbia impropriamente tratto conferma della assenza di pregiudizio per il datoredi lavoro dal rientro del lavoratore al termine della malattia, circostanza diper sé irrilevante ai fini in questione in quanto l'accertamento della mancanzadi pregiudizio va operato ex ante. Tuttavia permane la mancanza di prova ditale pregiudizio che avrebbe procurato nocumento al datore di lavoro, per cui ècomunque esatta la conclusione a cui è pervenuta la Corte territoriale nelritenere non giustificato l'impugnato licenziamento."

In merito poialla proporzionalità della sanzione espulsiva, la Suprema Corte ha ricordato ilprincipio secondo cui "il giudizio di proporzionalità tra violazionecontestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione dellagravità dell'inadempimento del lavoratore e dell'adeguatezza della sanzione,tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con apprezzamentoin fatto adeguatamente giustificato con motivazione esauriente e completa, sisottraggono al riesame in sede di legittimità. Il giudice dell'appello hacorrettamente valutato che l'illecito disciplinare commesso dal lavoratore, perla mancanza di pregiudizio di cui si è detto, non meritasse la sanzioneespulsiva per il venir meno del vincolo fiduciario. Tale giudizio, per la sualogicità, si sottrae ad ogni censura di legittimità.".

Data: 05/03/2014 18:30:00
Autore: L.S.