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Il verbale di conciliazione giudiziale tra le parti è ad ogni effetto un atto negoziale. La pronuncia della Cassazione.



Corte di Cassazione, III SezioneCivile, sentenza 16 gennaio – 26 febbraio 2014, n. 4564.

«Per anticoinsegnamento (fin da Cass. 1 giugno 1968, n. 1655), sotto il profilo formale,il verbale di conciliazione giudiziale tra le parti non può avere gli effettiesecutivi di una sentenza passata in giudicato, ma solo quelli di un titolocontrattuale esecutivo ai sensi dell'art. 474, n. 3, cod. proc. civ.; e così,visto che la conciliazione è frutto dell'incontro della volontà delle parti, ilrelativo verbale, ancorché redatto con l'intervento del giudice a definizionedi una controversia pendente, è ad ogni effetto un atto negoziale, la cui interpretazionesi risolve in un accertamento di fatto di esclusiva spettanza del giudice dimerito (...) (nello stesso senso: Cass. 15 aprile 1980,n. 2459): infatti, l'intervento del giudice nel tentativo di conciliazione nonaltera, ove il medesimo riesca, la natura consensuale dell'atto di composizioneche le parti volontariamente concludono (Cass. 18 luglio 1987, n. 6333)».

È quanto emerso dalla recente pronuncia della Cassazione, la n. 4564dello scorso 26 febbraio 2014.

Oggetto delcontendere l'interpretazione di un verbale di conciliazione redatto conl'intervento del giudice a definizione di una controversia pendente tra leparti.

Ebbene,fatta la premessa innanzi detta la Cassazione chiarisce.

«(…)Come perogni contratto ed anche ai fini dell'individuazione del contenuto odell'oggetto dell'obbligo in esso assunto ed azionato esecutivamente,l'interpretazione del verbale di conciliazione giudiziale va operata allastregua degli articoli 1362 ss. cod. civ. (Cass. 27 ottobre 1998, n. 10719).[E], se tanto è vero, ad esso si estendono iconsolidati orientamenti della giurisprudenza di legittimità in tema diermeneutica contrattuale».

Sul punto è, altresì, doveroso ricordare che «le regole legali di ermeneutica contrattuale sonogovernate da un principio di gerarchia, in forza del quale i criteri degliartt. 1362 e 1363 cod. civ. prevalgono su quelli integrativi degli artt.1365-1371 cod. civ., posto che la determinazione oggettiva del significato daattribuire alla dichiarazione non ha ragion d'essere quando la ricercasoggettiva conduca ad un utile risultato ovvero escluda da sola che le partiabbiano posto in essere un determinato rapporto giuridico: pertanto, l'adozionedei predetti criteri integrativi non può portare alla dilatazione del contenutonegoziale mediante l'individuazione di diritti ed obblighi diversi da quelliespressamente contemplati nel contratto o mediante l'eterointegrazionedell'assetto negoziale esplicitamente previsto dai contraenti, neppure se taleadeguamento si presenti, in astratto, idoneo a ben contemperare il lorointeresse (Cass. 24 gennaio 2012, n. 925; sulla prima parte, v. altresì, tra lemolte, Cass. 22 marzo 2010, n. 6852, ovvero Cass. 25 ottobre 2005, n. 20660)».

A questoriguardo, ne deriva che «il sindacato di legittimità può avere ad oggetto nongià la ricostruzione della volontà delle parti, bensì solamentel'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale ilgiudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione a lui riservata, alfine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore didiritto (tra le molte, v.: Cass. 31 marzo 2006, n. 7597; Cass. 1 aprile 2011,n. 7557; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2109; Cass. 11 ottobre 2012, n. 17324;Cass. 7 febbraio 2013, n. 2962)».

Data: 02/03/2014 12:30:00
Autore: Sabrina Caporale