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Cassazione: il datore di lavoro è l'unico legittimato a chiedere all'ente previdenziale la restituzione dei contributi indebitamente versati



La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 3491 del 14 febbraio 2014, ha affermato che "lafattispecie di assicurazione sociale va scomposta in due rapporti, tra loroautonomi: quello previdenziale, intercorrente fra il lavoratore e l'entepubblico, e quello contributivo, che lega quest'ultimo al datore di lavoro. Viè poi il sottostante rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, che ha adoggetto l'obbligo di costituire la provvista, ossia di pagare i contributi aglienti previdenziali."

Da ciò consegue che "l'obbligazione contributivanelle assicurazioni obbligatorie ha per soggetto attivo l'istituto assicuratoree per soggetto passivo il datore di lavoro, debitore di tali contributi nellaloro interezza, mentre il lavoratore è unicamente il beneficiario dellaprestazione previdenziale e resta estraneo a tale rapporto obbligatorio".

La Suprema Corte ha quindi precisato che "E'proprio in ragione del fatto che il rapporto contributivo si instaura solo trail datore di lavoro e l'ente di previdenza o assistenza, anche per la parte dicontributi che sono dovuti dal lavoratore, che questa Corte ha chiarito che il datoredi lavoro è l'unico legittimato a chiedere all'ente previdenziale larestituzione dei contributi indebitamente versati e che in tale caso illavoratore potrà agire nei confronti del datore di lavoro per la restituzionedella sua quota."

In applicazione degli stessi principi - silegge nella sentenza - si è affermato inoltre che il lavoratore non ha azioneverso gli enti previdenziali per costringerli all'azione di recupero deicontributi, dovendo a tal fine agire per il versamento nei confronti del datoredi lavoro.

Nel caso in esame due lavoratori impugnavanodi fronte al Tribunale il verbale di accertamento elevato dall'Inps con ilquale venivano annullati i periodi contributivi relativi al lavoro subordinatoda loro prestato nell'ambito dell'impresa familiare, successivamentetrasformata in s.n.c., alle dipendenze del padre, sull'assunto che "nell'impresafamiliare non può sussistere un rapporto di lavoro subordinato".

Il Tribunale accoglieva il ricorso edichiarava il diritto dei ricorrenti ad effettuare i versamenti contributiviquali lavoratori subordinati ma - affermano i giudici di legittimità - "ilavoratori non potevano agire in via autonoma nei confronti dell'Inps per l'accertamentodel rapporto di lavoro subordinato, né tantomeno potevano chiedere disostituirsi al datore di lavoro nel pagamento dei contributi, essendo loroattribuiti nel caso di omissione contributiva solo il rimedio previsto dall'art. 2116 c.c. e la facoltà di richiedere all'INPS la costituzione dellarendita vitalizia ex art. 13 L. 1338/1962 pari alla quota di pensione che sarebbespettata in relazione ai contributi omessi. Sussisteva quindi il loro difettodi legittimazione processuale, sicché il processo deve concludersi con unadecisione in rito in quanto l'azione non poteva essere proposta."

Data: 19/02/2014 11:00:00
Autore: L.S.