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Diritto del figlio a conoscere le proprie origini e diritto all'anonimato della madre: un difficile confronto.



“Una scelta per l'anonimato checomporti una rinuncia irreversibile alla “genitorialità giuridica” può, invece,ragionevolmente non implicare anche una definitiva e irreversibile rinunciaalla “genitorialità naturale”: ove così fosse, d'altra parte, risulterebbeintrodotto nel sistema una sorta di divieto destinato a precludere in radicequalsiasi possibilità di reciproca relazione di fatto tra madre e figlio, conesiti difficilmente compatibili con l'art. 2 Cost. (…) In altri termini, mentrela scelta per l'anonimato legittimamente impedisce l'insorgenza di una“genitorialità giuridica”, con effetti inevitabilmente stabilizzati pro futuro,non appare ragionevole che quella scelta risulti necessariamente edefinitivamente preclusiva anche sul versante dei rapporti relativi alla“genitorialità naturale”: potendosi quella scelta riguardare, come opzioneeventualmente revocabile (in seguito alla iniziativa del figlio), proprioperché corrispondente alle motivazioni per le quali essa è stata compiuta e puòessere mantenuta”.

Questo è  quanto affermato dalla Corte Costituzionalecon la sentenza n. 278 del 22/11/2013, ove dichiarava l'illegittimitàcostituzionale dell'articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184(Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dall'art. 177, comma 2,del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezionedei dati personali), nella parte in cui non prevede – attraverso unprocedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – lapossibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato dinon voler essere nominata ai sensi dell'art. 30, comma 1, del d.P.R. 3 novembre2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazionedell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, dellalegge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di unaeventuale revoca di tale dichiarazione, ed in particolare, «nella parte in cui escludela possibilità di autorizzare la persona adottata all'accesso alle informazionisulle origini senza avere previamente verificato la persistenza della volontàdi non volere essere nominata da parte della madre biologica».

La vicenda traeva origine, dall'istanzapresentata da una donna, nata nel 1963 e adottata nel 1969, la quale esponeva diessere venuta a conoscenza della sua adozione soltanto in occasione dellaprocedura di separazione e divorzio dal marito e che la ignoranza delle sueorigini le aveva cagionato vari condizionamenti anche di ordine sanitario,limitando le possibilità di diagnosi e cura per patologie, che avrebbero dovutocomportare una anamnesi di tipo familiare. La stessa, precisava che lasopracitata istanza non voleva essere un pretesto per «chiudere un conto con ilpassato» e dunque, una rivendicazione nei confronti della madre biologica (…).Di qui, la richiesta di conoscere le generalità della madre naturale.

A fronte di una simile richiesta, ilTribunale di Catanzaro, rilevava che a dispetto della “riconosciuta possibilitàdell'adottato che abbia compiuto i 25 anni di accedere ad informazioniriguardanti i propri genitori biologici, previa autorizzazione del Tribunaleper i minorenni, tale possibilità è, invece, esclusa laddove – come nel caso dispecie - le informazioni si fossero riferite alla madre che avesse dichiaratoalla nascita di non voler essere nominata, ai sensi dell'art. 30, comma 1, deld.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e lasemplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2,comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127)”.

Ciò premesso e, contrariamente allanormativa vigente,  il Tribunale deiminorenni di Catanzaro, non potè astenersi dal riconoscere che “la conoscenza delle proprieorigini rappresenta un presupposto indefettibile per l'identità personaledell'adottato, la quale integra un diritto fondamentale, che viene tutelatosotto il profilo della immagine sociale della persona; vale a dire, diquell'insieme di valori rilevanti nella rappresentazione che di essa viene datanella vita di relazione, come consacrato dall'art. 2 Cost.. (…) Il diritto,poi,  alla identità personale ed allaricerca delle proprie radici,  èsalvaguardato dagli artt. 7 e 8 della Convenzione sui diritti delfanciullo (New York il 20 novembre 1989 – e resa esecutiva con la legge 27maggio 1991, n. 176 –) che assicurano, appunto, il relativo diritto a conoscerei propri genitori ed a preservare la propria identità – nonché dall'art. 30della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia diadozione internazionale (Aja il 29 maggio 1993 - resa esecutiva con la legge 31dicembre 1998, n. 476), la quale impone agli Stati aderenti di assicurarel'accesso del minore o del suo rappresentante alle informazioni relative allesue origini, fra le quali, in particolare, quelle relative all'identità deipropri genitori.

Non solo.  (…) un simile diritto è stato “direcente riaffermato e puntualizzato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo,nella sentenza Godelli contro Italia del 25 settembre 2012, nella quale si èaffermato che, nel perimetro della tutela offerta dall'art. 8 della Convenzioneper la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmataa Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,rientra anche la possibilità di «disporre dei dettagli sulla propria identitàdi essere umano e l'interesse vitale, protetto dalla Convenzione ad ottenereinformazioni necessarie alla scoperta della verità concernente un aspettoimportante della propria identità personale, ad esempio l'identità deigenitori»”.  (…)

“Il diritto a conoscere le proprieorigini contribuisce, dunque, in maniera determinante a delineare lapersonalità di un essere umano e rientra, quindi, nell'ambito dei principitutelati dall'art. 2 Cost., che nella specie risulterebbero violati: negare,infatti, a priori l'autorizzazione all'accesso alle notizie sulle proprieorigini, in ragione del fatto che il genitore abbia dichiarato di non voleressere nominato, compromette il diritto all'identità personale dell'adottato”. 

Al tal proposito sarebbe auspicabile -agiudizio del Tribunale di Catanzaro - che in presenza della richiesta delfiglio, la madre fosse posta in condizione di ribadire o meno la scelta fattamolti anni prima, considerato che  ilmutamento del costume sociale non fa più percepire come un disonore la nascitadi un figlio fuori del matrimonio

Unadiversa soluzione, quale quella contenuta dalla normativa vigente, violerebbe e viola anche il principiodi uguaglianza, “trattando in modo diverso l'adottato la cui madre non abbiadichiarato alcunché e quello la cui madre abbia dichiarato di non voler esserenominata, senza considerare l'eventualità che possa aver cambiato idea e leistessa desideri avere notizie del figlio”.

Non solo. Essa, “operando solo a tuteladell'anonimato, discriminerebbe irragionevolmente gli adottati, in quantodiversamente dal caso di genitori naturali che non hanno dichiarato di nonvoler essere nominati – e che possono in concreto essersi opposti all'adozione,così da rappresentare un potenziale pericolo per la famiglia adottiva – unsimile rischio non è rappresentato dal genitore il quale abbia richiestol'anonimato. E comunque,  già, l'impossibilitàdi accertare, se la madre abbia mutato orientamento circa l'anonimatocostituisce violazione del principio di uguaglianza !

Le violazioni all'ordinamentocostituzionale, tuttavia, non sarebbero le sole citate. Una simile disposizioneandrebbe a compromettere, altresì, l'art. 32 Cost., in quanto l'impedimentoalla conoscenza dei dati inerenti alla madre naturale priverebbe l'adottato diqualsiasi possibilità di ottenere una anamnesi familiare, essenziale perinterventi di profilassi o di accertamenti diagnostici, essendo già egli privodi notizie circa la storia sanitaria del ramo paterno del proprio alberogenealogico; oltreché dell'art. 117, primo comma, Cost., in riferimentoall'art. 8 della CEDU, per come interpretato dalla Corte di Strasburgo nellagià richiamata sentenza nel caso Godelli contro Italia, ed in particolare,  nella parte in cui ha ritenuto che lanormativa italiana in materia violi l'art. 8 della Convenzione, non essendostati bilanciati fra loro gli interessi delle parti contrapposte.

Ebbene, proposta, sulla base di taliargomentazioni, questione di legittimità costituzionale da parte delTribunale di Catanzaro, la Corte Costituzionale si pronunciava per il suo accoglimento,nei termini di cui appresso.  

Come più volte ricordato “il nucleofondante della scelta allora adottata dal legislatore è da ricercasi nellaritenuta corrispondenza biunivoca tra il diritto all'anonimato, in sé e per séconsiderato, e la perdurante quanto inderogabile tutela dei profili diriservatezza o, se si vuole, di segreto, che l'esercizio di quel dirittoinevitabilmente coinvolge. (…) Il fondamento costituzionale del diritto dellamadre all'anonimato riposa, infatti, sull'esigenza di salvaguardare madre eneonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma disituazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tale da generarel'emergenza di pericoli per la salute psico-fisica o la stessa incolumità dientrambi e da creare, al tempo stesso, le premesse perché la nascita possaavvenire nelle condizioni migliori possibili. E ciò perché, la salvaguardiadella vita e della salute sono, i beni di primario rilievo presenti nel nostroordinamento.

Bene di primario rilievo oltreché, significativoper il nostro sistema costituzionale, è altresì “il diritto del figlio aconoscere le proprie origini – e ad accedere alla propria storia parentale. (…)E il relativo bisogno di conoscenza rappresenta uno di quegli aspetti dellapersonalità che possono condizionare l'intimo atteggiamento e la stessa vita direlazione di una persona in quanto tale”.

Ciò premesso, il nostro sistema –aggiunge la Corte - sembra, tutt'al contrario, prefigurare una sorta di  “cristallizzazione“ o di “immobilizzazione“,che non lascia spazio a diverse modalità di azione: “una volta intervenuta lascelta per l'anonimato,  tale manifestazionedi volontà assume i connotati di irreversibilità destinati, sostanzialmente, ad“espropriare” la persona titolare del diritto alla conoscenza della propriaidentità da qualsiasi ulteriore opzione (…).

Tutto ciò, peraltro, èinequivocabilmente impresso dall'art. 93, comma 2, del ricordato d.lgs. n. 196del 2003, secondo cui «Il certificato di assistenza al parto o la cartellaclinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madreche abbia dichiarato di non voler essere nominata avvalendosi della facoltà dicui all'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3novembre 2000, n. 396, possono essere rilasciati in copia integrale a chi viabbia interesse, in conformità alla legge, decorsi cento anni dalla formazionedel documento».

Ebbene, è proprio questa“irreversibilità del segreto” a rendere illegittimità la norma de quo!

La ratiofondante del sistema, come sopra ricordata, divisa tra l'esigenza di “prevenireturbative nei confronti della madre in relazione all'esercizio di un suo“diritto all'oblio”, e quella di salvaguardare ergaomnes la riservatezza circa l'identità della madre, evidentementeconsiderata come esposta a rischio ogni volta in cui se ne possa cercare ilcontatto per verificare se intenda o meno mantenere il proprio anonimato”, parenon essere soddisfatta quanto alla vigente normativa, né circa laprima né circa la seconda delle esigenze citate: “non la prima, in quanto alpericolo di turbativa della madre corrisponde un contrapposto pericolo per ilfiglio, depauperato del diritto di conoscere le proprie origini; non laseconda, dal momento che la maggiore o minore ampiezza della tutela dellariservatezza resta, in conclusione, affidata alle diverse modalità previstedalle relative discipline, oltre che all'esperienza della loro applicazione”.

“Unascelta per l'anonimato che comporti una rinuncia irreversibile alla“genitorialità giuridica” può, invece, ragionevolmente non implicare anche unadefinitiva e irreversibile rinuncia alla “genitorialità naturale”: ove cosìfosse, d'altra parte, risulterebbe introdotto nel sistema una sorta di divietodestinato a precludere in radice qualsiasi possibilità di reciproca relazionedi fatto tra madre e figlio, con esiti difficilmente compatibili con l'art. 2Cost. (…) In altri termini, mentre la scelta per l'anonimato legittimamenteimpedisce l'insorgenza di una “genitorialità giuridica”, con effettiinevitabilmente stabilizzati pro futuro, non appare ragionevole che quellascelta risulti necessariamente e definitivamente preclusiva anche sul versantedei rapporti relativi alla “genitorialità naturale”: potendosi quella sceltariguardare, come opzione eventualmente revocabile (in seguito alla iniziativadel figlio), proprio perché corrispondente alle motivazioni per le quali essa èstata compiuta e può essere mantenuta”.

Così concludendo, la Corte delle Leggi– dichiarata la illegittimità costituzionale della norma de quo nella parte soprarichiamata - affida il compito al legislatore di introdurre appositedisposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità dellascelta della madre naturale di non voler essere nominata e, nello stesso tempo,a cautelare in termini rigorosi il suo diritto all'anonimato, “secondo scelteprocedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche daparte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo”.

Data: 09/01/2014 14:00:00
Autore: Sabrina Caporale