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INDENNITÀ SOSTITUTIVA: L'opzione per le quindici mensilità nasce con l'ordine di reintegrazione senza alcuna rilevanza della temporanea ripresa della prestazione in corso di causa.



Di Maurizio Tarantino. Cassazione Civile Sez. Lavoro n. 21452 del 19 settembre2013

 L'art.18 della L. 300/1970, nell'attuale terzo comma, (già quinto comma nel testoante riforma “Fornero”, applicabile alla fattispecie ratione temporis) consenteal lavoratore di richiedere al datore di lavoro, in sostituzione dellareintegrazione, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzioneglobale di fatto, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione deldeposito dalla sentenza o, se anteriore, dall'invito del datore a tornare inservizio.

Ilrapporto in esame tra obbligazione di reintegrazione e obbligazione dipagamento dell'indennità sostitutiva non è regolato dallo schema delleobbligazioni alternative (artt. 1285 e seguenti del Codice Civile), in base al quale la dichiarazione di scelta di unadelle prestazioni ad opera della parte che ne ha facoltà è irrevocabile e rendel'altra prestazione non più esigibile; non può quindi ritenersi chel'obbligazione di reintegrazione e quella, ad essa correlata, di  pagamento delle retribuzioni vengano menosolo per effetto della scelta  da partedel lavoratore  dell'indennitàsostitutiva e nel  momento in cuiquest'ultima viene effettuata. Lo schema applicabile è  invece quello della “obbligazione con facoltà alternativa ex parte creditoris”

Siveda a tale riguardo Cassazione civile sez. lav. 16 marzo 2009, n. 6342: “La richiesta del lavoratore illegittimamente licenziato di ottenere, in luogo della reintegrazione nel posto di lavoro, l'indennità prevista dall'art. 18, comma 5, legge n. 300 del 1970, costituisce esercizio di un diritto derivante dall'illegittimità del licenziamento, riconosciuto al lavoratore secondo lo schema dell'obbligazione con facoltà alternativa ex parte creditoris; pertanto, l'obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro facente carico al datore di lavoro si estingue soltanto con il pagamento della indennità sostitutiva della reintegrazione, per la quale abbia optato il lavoratore, non già con la semplice dichiarazione da questi resa di scegliere detta indennità in luogo della reintegrazione e, conseguentemente, il risarcimento del danno, il cui diritto è dalla legge fatto salvo anche nel caso di opzione per la succitata indennità, va commisurato alle retribuzione che sarebbero maturate fino al giorno del pagamento dell'indennità sostitutiva e non fino alla data in cui il lavoratore ha operato la scelta.” (in senso conforme tra lemolte  si veda Cassazione civile  sez. lav. 26 agosto 2003 n. 12514; Cassazionecivile  sez. lav. 04 settembre 2009 n.19244).

Premessotutto quanto innanzi esposto, nel caso di cui ci si occupa la Suprema Corte,sezione lavoro, con la recentissima sentenzan. 21452, depositata in data 19 settembre 2013, in accoglimento delricorso presentato da un dipendente licenziato, è intervenuta in materia diopzione per le quindici mensilità sostitutive della reintegrazione, conparticolare riferimento ai termini per il relativo esercizio.

Nellasentenza impugnata, la Corte territoriale aveva escluso il diritto dellavoratore all'indennità di cui all'art. 18 L. 300/1970, ritenendoloincompatibile con la ripresa, anche temporanea, del servizio da parte dellavoratore.

Nellafattispecie in commento, in realtà, il datore di lavoro, nelle more delgiudizio, non aveva provveduto alla reintegrazione del lavoratore, limitandosiinvece a consentire che la prestazione riprendesse di fatto ed in termini diprecarietà.

Secondola Corte territoriale, infatti, la ripresa dell'attività lavorativa nelle moredel giudizio aveva configurato idoneo consenso del prestatore allaricostituzione del rapporto lavorativo, in quanto manifestazione di volontàincompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto.

LaSuprema Corte, pur aderendo all'interpretazione dell'istituto dell'opzionequale obbligazione alternativa dal lato del lavoratore, ha tuttavia disattesola pronuncia di merito quanto alla determinazione del momento a decorrere dalquale l'opzione stessa è esercitabile.

Atale riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come il dies a quo non possa non coincidere conl'emissione dell'ordine di reintegra contenuto nella sentenza di accertamentodell'illegittimità del licenziamento, salva l'ipotesi in cui la ripresadell'attività su invito datoriale integri accordo tra le parti per la revocadel licenziamento, con conseguente ripristino del rapporto già cessato. Edinfatti, prima del provvedimento giurisdizionale di cui sopra ed in assenza diuna vera e propria proposta negoziale per la ricostituzione del rapportolavorativo, non è data al lavoratore alcuna possibilità di eserciziodell'opzione.

Neconsegue che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, aifini dell'esclusione della facoltà ex art. 18, nessuna rilevanza può assumere latemporanea e precaria ripresa del servizio intervenuta in corso di causa inadesione all'invito datoriale, non essendo in tal caso ravvisabile un accordo,anche implicito, di ricostituzione del rapporto di lavoro.

Concludendo,gli Ermellini, in riforma della sentenza impugnata, hanno ritenuto che l'opzioneper le quindici mensilità sostitutive della reintegrazione, sebbene successivaall'accettazione dell'invito datoriale di riprendere l'esecuzione dellaprestazione, fosse stata tempestivamente esercitata dal lavoratore dopo lasentenza di reintegrazione, dovendosi escludere che il rapporto di lavoro fossestato medio tempore ricostituito.

 

Dott. Maurizio Tarantino

 

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Data: 30/09/2013 16:30:00
Autore: Maurizio Tarantino