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La coniuge presta garanzie per l'attività del marito: sussiste una società di fatto?



di Francesca Tessitore - Cassazione civile, sez. I, 5 luglio 2013, n. 16829. Il Tribunale(con sentenza confermata anche in secondo grado) ha dichiarato il fallimento di una società di fatto intercorrentetra due coniugi, con il conseguente fallimento di entrambi i coniugi. La ricorrente denuncia che icomportamenti da ella tenuti, qualificabili come meri “sentimenti di solidarietà coniugale” ed aventi ad oggetto laprestazione di fideiussioni, concessione di garanzia ipotecaria sui benifacenti parte della comunione e la sottoscrizione di conti correnti cointestatinon possono essere qualificati come ingerenzanella gestione di impresa esercitata dal coniuge. Conseguentemente ella nondovrebbe essere coinvolta nel fallimento del marito. In secondo luogo laricorrente denuncia, nel caso fosse ravvisabile un'impresa familiare, che ilcollaboratore, il quale presti le attività summenzionate, possa essere mossosolamente da “affectio familiaris” enon, in mancanza di indizi gravi,precisi e concordanti, dotato di poteri gestionali e quindi soggetto alfallimento.

La Suprema Corte ha enunciato che“ai fini dell'estensione del fallimentodel titolare dell'impresa familiare agli altri componenti della stessa ènecessario il positivo accertamento dell'effettiva costituzione di una societàdi fatto, attraverso l'esame delcomportamento assunto dai familiari nelle relazioni esterne all'impresa, alfine di valutare se vi sia stata la spendita del "nomen" dellasocietà o quanto meno l'esteriorizzazione del vincolo sociale, l'assunzionedelle obbligazioni sociali ovvero un complessivo atteggiarsi idoneo ad ingenerare nei terzi un incolpevoleaffidamento in ordine all'esistenza di un vincolo societario, mentre nonassume rilievo univoco né la qualificazione dei familiari come collaboratoridell'impresa familiare, né l'eventuale condivisione degli utili, trattandosid'indicatori equivoci rispetto agli elementi indefettibili della figurasocietaria costituiti dal fondo comune e dalla "affectio societatis".Nel caso in esame la Suprema Corte, ravvisando che nell'intestazione del contocorrente e nel contratto di fidejussione erano inseriti i nomi di entrambi iconiugi come ditta e, successivamente, con l'acronimo s.d.f., ha dichiaratoinammissibile il ricorso decretando il fallimento della coniuge.

Data: 15/08/2013 08:35:00
Autore: C.G.