Lo stop-and-go nella successione di contratti a tempo determinato per ragioni sostitutive
Avv. Nicola Traverso - Uno dei profili critici della disciplina in materia di lavoro subordinato a tempo determinato è rappresentato dagli intervalli di tempo che, in caso di riassunzione a termine del medesimo lavoratore, devono obbligatoriamente trascorrere tra un contratto e il successivo, pena la conversione in contratto a tempo indeterminato (art. 5, co. 3-4, D.Lgs. 368/2001).
Sulla questione infatti vengono a scontrarsi interessi divergenti: da un lato, l'interesse a impedire l'utilizzo reiterato del lavoro a termine con finalità elusive (cioè per far fronte ad esigenze cui dovrebbe rispondere il contratto a tempo indeterminato); dall'altro, le esigenze di flessibilità delle imprese e quelle di continuità nell'impiego dei lavoratori.
In proposito negli ultimi mesi si sono susseguiti vari provvedimenti del Legislatore ed interventi interpretativi del Ministero del Lavoro.
La legge consente la stipulazione di successivi contratti a tempo determinato tra le stesse parti, a condizione, però, di rispettare - oltre al limite di durata massima complessiva di un rapporto a termine (pari, salvo deroghe, a 36 mesi) - anche un intervallo temporale minimo tra il contratto scaduto e il suo eventuale rinnovo (il cosiddetto stop-and-go, di cui all'art. 5, co. 3-4 D.Lgs. 368/2001). La L. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro – "riforma Fornero", in vigore dal 18/07/2012 – ha ampliato la pausa obbligatoria, rispetto al passato, da 10 a 60 giorni (in caso di contratto precedente di durata fino a 6 mesi), e da 20 a 90 giorni (negli altri casi).
Già durante l'iter di approvazione della legge, tuttavia, è parso chiaro che, soprattutto in un momento di crisi economica, l'applicazione indiscriminata di questa norma rischiava, da un lato, di incidere negativamente sulla flessibilità "buona" caratteristica di alcuni settori, dall'altro, di disincentivare il rinnovo dei contratti in scadenza, con conseguenze negative per gli stessi prestatori di lavoro. Pertanto, la stessa L. 92/2012 ha previsto che tali intervalli possano essere ridotti – rispettivamente, fino a 20 o a 30 giorni – dalla contrattazione collettiva nazionale (interconfederale o di categoria) o, in via delegata, da quella decentrata, per assunzioni nell'ambito di processi organizzativi determinati da alcune ragioni specificamente individuate (avvio di una nuova attività, lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, rinnovo o proroga di una commessa consistente), ovvero alle condizioni individuate dal Ministero del Lavoro, in caso di inerzia delle parti sociali.
Il D.L. 83/2012 ("decreto sviluppo", convertito nella L. 134/2012) ha poi esteso l'applicabilità dei suddetti termini ridotti anche alle attività stagionali, nonché ad ogni altra ipotesi prevista dai contratti collettivi di qualsiasi livello. Con la seconda estensione, in particolare, si è completamente rimessa alle parti sociali, a qualsiasi livello di contrattazione (nazionale, territoriale o aziendale), l'individuazione delle ipotesi di riduzione degli intervalli per i rinnovi. Data: 31/08/2012 11:00:00
Autore: Avv. Nicola Traverso