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Cassazionre: dare del "compagno di merende" all'avversario politico? E' espressione pesante ma fa parte del diritto di critica

L'espressione "compagno di merende" è diventata oramai famosa dopo il delitti del mostro di Firenze e per questo utilizzarla contro un avversario politico che fa ricorso ad attività illecite è certamente "pesante) ciò non toglie che il diritto di critica deve avere una certa elasticità ed è per questo che secondo la Corte di Cassazione una tale espressione può rientrare nel legittimo diritto di critica.A stabilirlo nella prima sezione penale della Corte (sentenza n. 41551/2009) che hanno confermato il proscioglimento dall'accusa di diffamazione a mezzo stampa nei confronti di un uomo politico che aveva subito una ingiusta detenzione con l'accusa di associazione per delinquere e di corruzione.L'uomo si era sfogato in una conferenza stampa affermando di essere stato vittima di un complotto indicando in particolare un suo avversario come colui che aveva costruito una montagna di accuse che lo avevano portato in carcere.Durante la conferenza stampa il politico aveva definito il suo avversario insieme ad altri "compagno di merende" facente parte di una "brigata". Il caso era finito in tribunale a seguito di una querela per diffamazione.Dopo una condanna in primo grado la corte d'Appello decideva per l'assoluzione.Ed ora la Cassazione ha confermato il secondo verdetto spiegando che "la circostanza che, durante la conferenza stampa, unitamente alla esposizione della tesi del complotto [...] avesse aggiunto delle espressioni pesanti nei confronti dei suoi accusatori ("compagni di merenda", "brigata") non appare idoneo al superamento del limite della continenza poiche' il diritto di critica presenta unasua necessaria elasticita' e non e' necessariamente escluso dall'uso di un epiteto infamante, dovendo la valutazione del giudice di merito soppesare se il ricorso ad aggettivi o frasi particolarmente aspri siao meno funzionale alla eventuale assoluta gravita' oggettiva della situazione rappresentata".Del resto annota la Corte l'uomo "era stato appena scarcerato dopo avere subito un periodo di ingiusta detenzione e si trovava quindi in uno stato di agitazione e giustificava quelle espressioni sicuramente pesanti ma che non costituivano attacchi personali o gratuiti alla sfera morale dei soggetti". Data: 30/10/2009 09:58:00
Autore: Roberto Cataldi