Infezione nosocomiale e responsabilità della struttura sanitaria
Principio di diritto
In tema di responsabilità sanitaria, qualora nel corso del giudizio siano espletate più consulenze tecniche d'ufficio tra loro difformi, il giudice di merito può aderire alle conclusioni dell'una o dell'altra – ovvero discostarsene – purché dia adeguata e puntuale motivazione delle ragioni del proprio convincimento. L'accertamento del nesso causale tra infezione nosocomiale ed evento morte deve avvenire secondo il criterio del "più probabile che non", restando irrilevanti, ai fini dell'esclusione della responsabilità della struttura, le pregresse condizioni patologiche del paziente quando non integrino un evento imprevedibile e fortuito idoneo a interrompere il nesso eziologico. La liquidazione del danno parentale, se effettuata in via equitativa e sulla base di tabelle applicabili, non è censurabile in sede di legittimità in assenza di specifiche contestazioni sugli errori commessi e sull'importo ritenuto corretto.
Svolgimento del processo
La vicenda trae origine dal decesso di un paziente, avvenuto a seguito di un ricovero presso una casa di cura privata per essere sottoposto a coronarografia e angioplastica d'urgenza. I familiari del de cuius convenivano in giudizio la struttura sanitaria, deducendo che la morte fosse stata causata da una grave infezione nosocomiale contratta durante la degenza, imputabile all'inosservanza delle misure di prevenzione e di asepsi da parte del personale sanitario.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 16716/2017, accoglieva la domanda attorea, accertando l'esclusiva responsabilità della struttura sanitaria e condannandola al risarcimento dei danni in favore dei congiunti, per un importo complessivo di oltre 970.000 euro.
La Corte d'Appello di Roma, con sentenza n. 1587/2022, rigettava l'appello principale proposto dalla struttura sanitaria e accoglieva parzialmente l'appello incidentale dei danneggiati, riconoscendo anche il danno biologico terminale trasmissibile iure hereditatis, erroneamente escluso in primo grado.
Avverso tale decisione la società sanitaria proponeva ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi, cui resistevano i familiari del paziente.
Considerazioni di diritto
Con il primo motivo la ricorrente denunciava l'illogicità della decisione di merito per avere il Tribunale – e la Corte d'Appello nel confermarlo – fondato il proprio convincimento sulle conclusioni della prima consulenza tecnica, pur ritenuta in precedenza lacunosa, discostandosi dalla seconda C.T.U., che aveva escluso l'esistenza di una vera infezione nosocomiale.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondata la censura, ribadendo il principio secondo cui la valutazione delle risultanze della consulenza tecnica costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva adeguatamente motivato le ragioni della propria adesione alle conclusioni ritenute più convincenti, valorizzando dati clinici oggettivi (positività delle colture, andamento della procalcitonina) idonei a dimostrare la presenza dell'infezione e il suo ruolo causale nel decesso.
Con il secondo motivo la ricorrente lamentava l'omessa pronuncia su una specifica censura relativa all'erronea interpretazione della seconda C.T.U. Anche tale motivo è stato disatteso, poiché la Suprema Corte ha ricordato che il vizio di omessa pronuncia è rilevante solo se concerne una questione decisiva; nel caso concreto, la doglianza si risolveva in una mera contrapposizione di valutazioni tecniche, priva di reale incidenza sull'esito del giudizio.
Il terzo motivo, relativo alla dedotta errata applicazione dei criteri di accertamento del nesso causale e alla presunta rilevanza di concause alternative (pregresse patologie e somministrazione farmacologica), è stato parimenti respinto. La Corte ha evidenziato come i giudici di merito avessero correttamente applicato l'art. 41 c.p., escludendo che le condizioni patologiche pregresse del paziente potessero qualificarsi come fattori interruttivi del nesso causale, trattandosi di elementi prevedibili e non eccezionali.
Infine, con il quarto motivo, la struttura sanitaria contestava la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, ritenuta eccessiva e non adeguata ai criteri della responsabilità sanitaria. La Cassazione ha dichiarato infondata anche tale censura, rilevando la genericità delle doglianze e l'assenza di una puntuale indicazione degli errori commessi dal giudice di merito e dei diversi criteri liquidativi da applicare.
Conclusioni
La decisione in commento si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato in materia di responsabilità sanitaria, confermando alcuni principi di particolare rilievo pratico. In primo luogo, viene riaffermata l'ampia discrezionalità del giudice di merito nella valutazione delle consulenze tecniche d'ufficio, purché l'iter argomentativo sia sorretto da motivazione logica e coerente.
In secondo luogo, la sentenza ribadisce che le infezioni nosocomiali, quando accertate secondo il criterio del "più probabile che non", fondano la responsabilità della struttura sanitaria anche in presenza di condizioni patologiche pregresse del paziente, che non valgono, di per sé, a interrompere il nesso causale.
Particolarmente significativa è, infine, la conferma dei criteri di liquidazione del danno parentale, con l'affermazione dell'inammissibilità, in sede di legittimità, di censure meramente generiche o volte a sollecitare una rivalutazione equitativa del quantum risarcitorio. La pronuncia si rivela dunque di particolare interesse, poiché consolida i parametri di accertamento della responsabilità sanitaria e i limiti del sindacato di legittimità in materia di danni alla persona.
Avv. Rita Milano
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Data: 20/12/2025 06:00:00Autore: Rita Milano