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Sezioni Unite: compie illecito permanente l'avvocato che trattiene indebitamente le somme del cliente

La condotta del professionista presenta i connotati di continuità della violazione deontologica e non decorre la prescrizione


di Lucia Izzo - Se l'avvocato trattiene indebitamente le somme spettanti al cliente, pone in essere un illecito deontologico permanente che si protrae fino alla restituzione delle stesse.

La mancata restituzione è ostativa al decorso del termine prescrizionale previsto per attivare l'azione disciplinare nei suoi confronti.
Il principio è stato precisato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13379/2016 (qui sotto allegata).
Innanzi agli Ermellini ricorre un avvocato per chiedere la cassazione della decisione del CNF che aveva rigettato l'impugnazione della decisione del COA di Campobasso, con la quale il legale era stato ritenuto responsabile dell'indebita ritenzione di somme riscosse per conto di un cliente, così violando le norme deontologiche che prescrivono il dovere di fedeltà, di diligenza, inadempimento del mandato e gestione del denaro altrui.
Il CNF aveva ritenuto infondata l'eccezione di prescrizione formulata dal ricorrente, evidenziando che la violazione deontologica risultava integrata da una condotta protrattasi nel tempo, e per tali ragioni irrogava la sanzione della sospensione dall'esercizio della professione per mesi 11.
Anche in sede di legittimità il ricorrente assume la violazione dell'art. 51 del r.d.l. 1578/1933, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., laddove il CNF ha ritenuto il carattere permanente della condotta da lui avuta, tuttavia la sua censura è infondata all'esame delle Sezioni Unite.
Infatti, precisano i giudici, ai sensi dell'art. 51 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, l'azione disciplinare nei confronti dell'avvocato si prescrive nel termine di cinque anni, che decorrono dal giorno di realizzazione dell'illecito, ovvero, se questo consista in una condotta protratta, dalla data di cessazione della condotta stessa.

È circostanza pacifica che il legale, per conto del cliente (Banco di Sicilia), attraverso mandati emessi a suo nome dal Cancelliere del Tribunale, abbia riscosso una somma poi non versata all'assistito e che fino all'inizio del procedimento disciplinare l'avvocato ha, invece, ripetutamente promesso la restituzione delle somme senza a ciò provvedere.
II disposto dell'art. 44, ultimo comma, del codice deontologico forense vigente ratione temporis (ora art. 31 del Nuovo Codice Deontologico) secondo cui "l'avvocato è tenuto a mettere immediatamente a disposizione della parte assistita le somme riscosse per conto di questa", contrariamente all'assunto del ricorrente, non può essere interpretato nel senso della irrilevanza della successiva indebita ritenzione del denaro riscosso.
La condotta del professionista, nel caso in esame, presenta i connotati tipici della continuità della violazione deontologica, per tale sua natura destinata a protrarsi fino alla restituzione delle somme che il medesimo avrebbe dovuto mettere a disposizione del cliente.
Ne consegue che il protrarsi di tale condotta fino alla decisione del COA è ostativa al decorso del termine prescrizionale di cui all'art. 51 cit., come ritenuto dalla sentenza Impugnata. Ciò non senza rilevare che analogo carattere permanente va riconosciuto alle altre correlate e contestate violazioni deontologiche.
Data: 04/07/2016 16:00:00
Autore: Lucia Izzo