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Gioco del calcio: la scriminante dell'accettazione del rischio, il fatto non costituisce reato di Lina Musumarra

Gli eventi lesivi causati nel corso di gare e nel rispetto delle regole del gioco scriminati per l'operare della scriminante atipica


di Paolo M. Storani - Stimo molto Lina Musumarra, pubblicista, relatrice a convegni, titolare di uno studio legale a Roma e grande esperta di diritto sportivo alla cui gradevolissima lettura Vi lascio, evidenziando che il contributo - con apparato di note - prende le mosse dalla recente pronuncia in tema di reato colposo della Cass. Pen., Sez. IV, sentenza n. 9559, decisa il 26 novembre 2015, depositata in Cancelleria l'8 marzo 2016.
Presiedeva Carlo Giuseppe Brusco, relatore il Cons. Giuseppe Grasso.
Il Procuratore Generale, in persona del Dott. Antonio Gialanella, aveva concluso per l'inammissibilità dei ricorsi ai fini penali e per l'annullamento con rinvio al giudice civile.
Il calciatore del Tempio, Serie Eccellenza, Girone Sardegna, aveva riportato la frattura della tibia sinistra a seguito dell'intervento effettuato da un avversario con violenza eccessiva.

"GIOCO DEL CALCIO: LA SCRIMINANTEDELL'ACCETTAZIONE DEL RISCHIO

Cass. pen., Sez. IV, sent. n. 9559/26.11.2016" - LinaMUSUMARRA



Glieventi lesivi causati nel corso di incontri sportivi e nel rispettodelle regole del gioco restano scriminati per l'operare dellascriminante atipica dell'accettazione del rischio consentito.



Con lasentenza n. 9559 dell'8 marzo 2016, la Cassazione penale, sezionequarta, seguendo l'opinione più diffusa e convincente in materia,aderisce al principio enunciato, escludendo invece l'operativitàdi una tale scriminante nei seguenti casi:

"a) quando siconstati l'assenza di collegamento funzionale tra l'evento lesivoe la competizione sportiva;

b) quando la violenza esercitata risultisproporzionata in relazione alle concrete caratteristiche del gioco ealla natura e rilevanza dello stesso (a tal ultimo riguardo, un contoè esercitare un agonismo, anche esacerbato, allorquando sia in paliol'esito di una competizione di primario rilievo, altro conto quandol'esito non abbia una tale importanza o, ancor meno, se si trattidi partite amichevoli o, addirittura, di allenamento);

c) quando lafinalità lesiva costituisce prevalente spinta all'azione, ancheove non consti, in tal caso, alcuna violazione delle regoledell'attività".

Siesclude, invece, l'antigiuridicità del fatto e quindi l'obbligodel risarcimento allorquando: "a) si tratti di atto posto inessere senza volontà lesiva e nel rispetto del regolamento el'evento di danno sia la conseguenza della natura stessadell'attività sportiva, che importa contatto fisico;

b) pur inpresenza di una violazione della norma regolamentare, debbaconstatarsi assenza della volontà di ledere l'avversario e ilfinalismo dell'azione correlato all'attività sportiva".1

Taliconclusioni implicano l'opzione per la causa di giustificazioneatipica "a cagione della difficoltà d'inquadrare la purnecessaria ragione che esclude l'antigiuridicità degli esiti didanno, derivanti dallo svolgimento di attività sportiva, in unadelle fattispecie regolate espressamente dalla legge".

Siesclude, in particolare, la possibilità di invocare la scriminantedel consenso dell'avente diritto, di cui all'art. 50 cod. pen.,in quanto non può giungere "fino a giustificare lesioniirreversibili dell'integrità fisica e financo (in alcunediscipline) la morte"; parimenti quella dell'esercizio deldiritto, ex art. 51 cod. pen., la quale "nonconsentirebbe di escludere dall'area della penale responsabilitàtutte quelle condotte che, pur commesse in violazione del regolamentoche disciplina la singola disciplina sportiva, non risultinoesuberare l'area del rischio accettato".

Costituisce,infatti, secondo la sentenza in esame, un sapere largamente condiviso"la constatazione che l'esercizio, specie con i caratteriagonistici delle gare di maggior rilievo, di una disciplina sportivache implichi l'uso necessario (es. pugilato, lotta, ecc.) o anchesolo eventuale (calcio, rugby, pallacanestro, pallanuoto, ecc.) dellaforza fisica, costituisce un'attività rischiosa consentitadall'ordinamento, per plurime ragioni, a condizione che il rischiosia controbilanciato da adeguate misure prevenzionali, sia sottoforma di regole precauzionali, che dall'imposizione di obblighi dicure e trattamento a carico delle società sportive operanti".

LaCassazione evidenzia, altresì, che "il rischio consentito non èmisurabile in astratto. Il perimetro di esso è la risultante di unattento vaglio del caso concreto (…). Esso è proporzionalealle caratteristiche e al rilievo della competizione".2

Si èinoltre specificato che "l'area consentita è delimitata dalrispetto delle regole del gioco, la violazione delle quali, peraltro,deve essere valutata in concreto, con riferimento alle condizionipsicologiche dell'agente, il cui comportamento scorretto,travalicante, cioè, quelle regole, può essere la colposa,involontaria evoluzione dell'azione fisica legittimamente esplicatao, al contrario, la consapevole e dolosa intenzione di lederel'avversario, approfittando della circostanza del gioco".3

Nellafattispecie in esame l'infortunio è maturato in un frangente digioco particolarmente intenso (gli ultimi minuti dell'incontro diuna partita di calcio del campionato serie Eccellenza).

L'atto eramanifestamente indirizzato ad interrompere l'azione di contropiededella squadra avversaria, mediante il tentativo di impossessarsiregolarmente del pallone.

La condotta del calciatore, giudicatocolpevole dal giudice di merito del reato di cui all'art. 590,commi 1 e 2 c.p., viene ritenuta invece dalla Cassazione meritevoledi censura solo nell'ambito dell'ordinamento sportivo, "nongià perché smodatamente violenta (la pienezza agonistica qui eragiustificata dal contesto dell'azione, dal momento di essa e dagliinteressi in campo), bensì perché, mal calcolando la tempistica,invece che cogliere il pallone, aveva finito per colpire la gambadell'avversario che già aveva allungato la sfera in avanti; macertamente non sconfina dal perimetro coperto dalla scriminante"atipica dell'accettazione del rischio.

La sentenza impugnata vienedunque annullata senza rinvio poiché il fatto ascritto all'imputato"non costituisce reato".

1 Cass. civ., sez. 3, sent. n. 12012/2002.

2 Sul punto si richiamano Cass. pen., sent. n. 20595/2010; Cass. pen., sent. n. 44306/2008; Cass. pen., sent. n. 2765/1999.

3 Cass. pen., sent. n. 11473/2005.

Data: 29/03/2016 15:00:00
Autore: Law In Action - di P. Storani