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Violenza in danno della figlia: l'essere stato a sua volta vittima di abusi non attenua le colpe del padre

Dinanzi ad abusi ripetuti e molto gravi non può trovare giustificazione alcun trattamento benevolo


di Valeria Zeppilli - Con la sentenza n. 37078/2015 depositata il 15 settembre (qui sotto allegata), la Corte di Cassazione si è dovuta confrontare con una situazione davvero odiosa e delicata: quella della violenza sessuale continuata compiuta dal padre in danno della figlia.

Condannato in primo e secondo grado, l'uomo ha tentato di attenuare la propria posizione asserendo di essere stato a sua volta abusato in età giovanile. Ma fortunatamente a nulla gli è valso.

Infatti, nel caso di specie la Corte d'Appello, la cui sentenza è stata confermata, aveva già rilevato l'insussistenza di elementi che potessero giustificare un trattamento benevolo dell'imputato, orientando in senso negativo il proprio potere discrezionale rispetto alla graduazione della pena.

Inattaccabile è stato ritenuto il ragionamento che ha portato il giudice del merito a valorizzare la natura particolarmente odiosa dell'azione e la gravità del danno cagionato alla minore.

Il padre, infatti, ha posto in essere abusi ripetuti e molto gravi nei confronti della figlia e ha ingenerato nella piccola il convincimento di essere stata oggetto soltanto dei “più turpi istinti del genitore”, chiudendosi completamente rispetto all'entusiasmo e alla disponibilità della ragazzina di riconquistare la figura paterna.

Dinanzi a tali elementi, l'asserita (e peraltro non provata) circostanza che anche il padre avrebbe subito abusi sessuali da ragazzo a nulla vale ad attenuare l'intensità del dolo e la condanna a sette anni di reclusione va confermata.



Leggi anche: guida legale al reato di violenza sessuale


Data: 16/09/2015 21:00:00
Autore: Valeria Zeppilli