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Avvocati: per il CNF è vietato indicare i recapiti di studio in una rubrica giornalistica. Tu cosa pensi? Rispondi al sondaggio

1. In cosa consiste la violazione secondo il Cnf - 2. Le implicazioni della decisione - 3. Alcune perplessità sulla motivazione - Il sondaggio


Secondo il CNF, l'avvocato che cura una rubrica giornalistica, non può indicare nellastessa i recapiti del proprio studio,perché ciò costituirebbe strumento di accaparramentodella clientela non conforme "alla dignità e al decoro propri di ogni pubblica manifestazione"del professionista.

È quanto emerge dalla sentenza n. 83/2014 pubblicata dal Consiglio Nazionale Forense sul propriosito e destinata a suscitare molto clamore all'interno della già tribolatacategoria degli avvocati (Vedi: “Niente più avvocati ‘a tempo perso'.Ecco le future regole per l'esercizio della professione”).

Il provvedimento conferma la sanzione disciplinare della sospensione dall'eserciziodell'attività professionale per due mesi ad un avvocato ritenuto "colpevole", tra le altre cose, di aver violato ildivieto di accaparramento della clientela (art. 37) pubblicando, in calce agliarticoli da lui redatti nell'ambito di una rubrica di pareri sui quesiti propostidai lettori, curata per un noto quotidiano cartaceo, l'indirizzo, il numero di telefono e il telefax del proprio studio,al fine dell'invio diretto della corrispondenza.

Prima di votare il sondaggio è bene considerare quanto segue:

1. In cosa consiste la violazione secondo il Cnf

Non considerando fondate le giustificazionipresentate dall'avvocato, da un lato, sull'estrema diffusione di rubricheanaloghe sulla stampa quotidiana e periodica, e, dall'altro, sul fatto che lapubblicazione dei recapiti era conseguente ad un'esplicita richiesta del direttoredel giornale, dato che la redazione era impossibilitata a dar seguito all'enormemole di quesiti che pervenivano dai lettori, il CNF ha rilevato come la “colpevolezza”del professionista, consistesse nelle modalità di gestione dell'attività: ovveroil non averne dato preventivacomunicazione al proprio consiglio dell'ordine e l'aver consentito l'inserimento dei proprirecapiti di studio nella pubblicazione, con la conseguenza di aver ricevutoa tali indirizzi direttamente le richieste di pareri e consigli legali da partedei lettori.

Ciò integra infatti, per il Consiglio, “una forma di pubblicità non ammessa daicanoni del codice deontologico, in quanto potenziale strumento diaccaparramento o sviamento della clientela”.

Sono, infatti, “gli strumenti usati – ha argomentatoil Cnf richiamando una precedente sentenza (n. 74/2013) - che configurano comelecita, ovvero conforme alla correttezza ed al decoro, ai sensi dell'art. 19CDF (oggi art. 37), o meno l'attività di acquisizione della clientela”, per cuinon c'è dubbio che l'indicazione in calce alla rubrica giornalistica “deirecapiti del proprio studio, finalizzata all'invio diretto della corrispondenza,in quanto rivolta ad una potenziale e indiscriminata clientela, debbaconsiderarsi strumento non conforme alla dignità e al decoro propri di ognipubblica manifestazione dell'avvocato”.


2. Le implicazioni della decisione

Sonoevidenti le implicazioni di una decisione siffatta che si muove nel solco di unorientamento che continua a porre “paletti”alle possibilità per gli avvocati di dare informazione sulla propria attività professionale, continuando a mantenere “ingessata” una categoriaprofessionale che invece si muove (o almeno vorrebbe farlo) verso un'ottica dimodernità, efficienza e comunicazione diretta con l'utenza, sfruttando illibero accesso ai mezzi multimediali offerti dalla tecnologia, in linea conquanto avviene, del resto, in Europa ed oltreoceano.

Sequesta è già un'implicazione, dietro la sentenza del Cnf si cela un'altra conseguenza.

Ladecisione, infatti, mette al bando il comportamento assumendo che lo stesso sarebbe vietato dal codicedeontologico, giacché diretto ad accaparrare e sviare la clientela. Ma ilConsiglio non specifica se la palesata “condotta anticoncorrenziale” sia relativa solo alla stampa cartacea.

Laviolazione è, infatti, ravvisata dall'organo genericamente nell'aver integratouna forma di pubblicità inammissibile avendo consentito ad inserire i recapitidello studio legale in calce alla rubrica giornalistica, riferendosi dunque alla stampa ex se, senza specificare se ildivieto concerne i quotidiani, le riviste o i periodici cartacei ovvero anche letestate telematiche.

Ilprincipio stabilito dal Cnf, così come formulato, è infatti tendenzialmente applicabile anche al web,portando con sé la (grave) conseguenza che neppure online un avvocato chepubblichi un proprio articolo su internet (in una rivista, in un blog o in una qualsiasitestata registrata) possa indicare i propri recapiti di studio, la propriaemail o il link al proprio sito senza commettere un illecito deontologico.


3. Alcune perplessità sulla motivazione della sentenza

Sono diverse le perplessità che suscita questa decisione che per certi versi potrebbe apparire anacronistica.

a) Ragionando, percosì dire al contrario, il codice deontologico consente espressamente agliavvocati di dare l'informazione sulla propriaattività professionale, sull'organizzazione e struttura dello studio, edunque, ovviamente sui recapiti, con qualunque mezzo anche informatico (art. 17) e lo stesso Cnf ha ritenutolegittime le pubblicazioni di inserzioni pubblicitarie degli studi legali (conindirizzi a seguito) su un giornale tradizionale e finanche sugli autobus; per cui non si comprende come si possa da un lato consentire la pubblicità “diretta” e dall'altro vietare quella "indiretta" che viene fatta anche mediante la diffusione di articoli su giornali e riviste.

b) Un'altra perplessità nasce dal fatto che anche se l'avvocato si fosse limitato a indicare solo nome e cognome nulla avrebbe impedito ai lettori di trovare i recapiti online o nei diversi pubblici elenchi. In certi casi, poi, la sola indicazione di nome e cognome potrebbe generare confusione come nell'ipotesi tutt'altro che rara di omonimia.

c) Se si preclude a un avvocato di fare una pubblicità indiretta di questo tipo, si dovrebbe per coerenza precludere qualsiasi riferimento al foro in cui si esercita a chi pubblica saggi o manuali di diritto. Generamente la "quarta di copertina" di un libro serve proprio per dare informazioni sull'autore, sulla sua professione e sul luogo in cui esercita.

d) se si vieta questo tipo di pubblicità indiretta per gli avvocati rimarranno solo due possibilità "lecite" candidarsi e pubblicare manifesti elettorali (non a caso gli studi legali di chi si candida si riempiono in breve tempo di clienti), prendere parte a quei tanti circoli e club in cui si possono fare le 'conoscenze giuste'.

e) Una perplessità riguarda poi il possibile contrasto con ladirettiva europea 2000/31/CE (c.d. direttiva sul commercio elettronico) che imponea tutti gli Stati membri di provvedere “affinchél'impiego di comunicazioni commercialiche costituiscono un servizio della società dell'informazione o ne sono parte, fornite da chi esercita una professione regolamentata, siano autorizzate nel rispetto delleregole professionali relative, in particolare, all'indipendenza, alla dignità, all'onore della professione, al segreto professionale e alla lealtà verso clienti e colleghi". Pubblicazione i riferimenti del proprio studio (che non sono certo cosa segreta) accanto al proprio nominativo su un articolo giornalistico non sembra possa costituire violazione delleregole professionali, né con riferimento all'indipendenza, alla dignità, all'onore,né tanto meno al segreto professionale o alla lealtà verso clienti e verso i colleghi (posto che chiunque può essere messo nellemedesime condizioni di scrivere articoli e/o gestire una rubricagiornalistica). A me sembra, ma lascio a voi la parola, che la sentenza confligga con la direttiva europea.

f) Consentitemi un'ultima considerazione (del tutto personale): sanzionare un avvocato per il solo fatto di aver aggiunto al proprio nome anche un suo recapito e fingere di non conoscere quel "sottobosco" diconcorrenza sleale che caratterizza alcuni settori della professione come l'infortunistica (tanto per dirne una), dove si intrecciano accordi tra agenti, carrozzieri e tal volta anche periti, a me personalmente fa venire il voltastomaco. A chi non è capitato poi (occupandosi di penale) di sentirsi dire da un cliente che una guardia carceraria gli aveva consigliato a quale avvocato rivolgersi?

In questo scenario non sarebbe meglio colpire chi è davvero sleale piuttosto che allargare le maglie diun divieto di accaparramento, sempre più anacronistico e non in linea con il resto del mondo? E poi non dimentichiamo che il Cnf è stato di recente pesantemente sanzionato dal Garante per laconcorrenza e il mercato proprio per le limitazioni alla libera concorrenza (vedi: “Maximulta da oltre 912mila euro al CNF per le limitazioni alla liberaconcorrenza”). Una cosa che dovrebbe farci riflettere.

Ma veniamo al dunque: voi cosa pensate di questo provvedimento? Siete d'accordocon il Cnf?

Dite la vostra rispondendo al sondaggio oppure lasciando uncommento nello spazio discussioni.

Data: 19/02/2015 16:00:00
Autore: Marina Crisafi