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Dare a un giudice della “toga rossa” può essere un elogio. Parola di Cassazione



Una casa editrice pubblica un librosugli “anni di piombo”, citando tra le pagine della storia della lottaarmata italiana un magistrato e definendolo “toga rossa”. Lui non ci sta a vedersi attribuita un'etichetta “sgradita”persino al presidente del Consiglio dell'epoca e trascina scrittore ed editore davanti ai giudici chiedendo ilrisarcimento danni.

La vicenda arriva fino in Cassazione,la quale, con sentenza n. 1435 del 27gennaio scorso, ha messo la parola fine alla discordia, sdoganando, in viadefinitiva, la valenza negativa della definizione “toga rossa” da oggi utilizzabile anche come “elogio” senzapaura di incorrere in una causa per diffamazione.

Con buona pace del magistrato che ha visto respinta la propria richiesta dirisarcimento, la S.C. infatti si è trovata d'accordo con la Corte d'Appello di Milano che, ribaltandoil verdetto del giudice di primo grado, ha sostenuto che la censurataespressione, nel contesto dell'opera, nonrisultava affatto “usata in tono denigratorio o dispregiativo, bensì piuttosto in senso positivo”, perindicare l'atteggiamento di un magistrato che non si ferma alle apparenze e chegode di “una coscienza tranquillamentefiera”.

Un'espressione, dunque, concordano gli Ermellini, da ritenersi, nell'insiemecomplessivo del libro, “in qualche modoelogiativa”, per nulla scalfita dalla circostanza che nel testo siaffermasse “che le toghe rosse erano particolarmentesgradite al presidente del Consiglio (dell'epoca) e ai suoi giornali”.

Ciò, infatti, hanno concluso i giudici del Palazzaccio rigettando ilricorso, dato il carattere “deltutto soggettivo del giudizio disgradevolezza” non può certamenteintegrare gli estremi della diffamazione.

Data: 29/01/2015 08:30:00
Autore: Marina Crisafi