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Interazioni tra legge penale militare e comune: ritenzione di effetti militari e ricettazione.



di Daniele Profili

Le ipotesi di reatopreviste dal Capo V del c.p.m.p., analizzate in un precedente articolo, sichiudono con la norma di cui all'art. 166 ove viene prevista la punibilitàdell'acquisto o della ritenzione di effetti militari. In primo luogo appareopportuno precisare che le condotte contenute nell'articolo in questione si riferiscono a un reato comune che, in quanto tale, può esserecommesso da qualsiasi cittadino e non solo dal militare. Ciò in virtù del fattoche il soggetto attivo indicato nell'articolo è "chiunque". Talenorma, così come anche altre contenute nel c.p.m.p., evidenziano lacomplementarità sostanziale della legge penale militare rispetto alla leggepenale comune. Appare pertanto corretto affermare che le norme penali militariintegrano le fattispecie previste dal c.p. con dei reati che riguardano non solo i cittadini in uniforme e possono essere classificati in: 1) esclusivamente militari (2° co.,art. 37), nel caso in cui il fatto non è, in tutto o in parte, preveduto comereato dalla legge penale comune; 2) obiettivamentemilitari, quando invece il fatto sia preveduto, in tutto o in parte, dallalegge penale comune. Tornando all'art. 166 la condotta prevista è duplice e alternativa: acquista o ritiene. Si badibene per integrare la condotta è sufficiente il mero possesso di vestiario,equipaggiamento o armamento militare, purché tali oggetti materiali sianoqualificati da una originaria destinazione d'uso militare e non siadimostrabile dal detentore la loro legittima cessazione dalla destinazioneoriginaria. Il reato può concorrere con la detenzione illegale di armi e/omunizioni da guerra, ex art. 2 della legge n. 895 del 1967 come modificatodall'art. 10 della legge 497/74, poiché le oggettività giuridiche sottese sonodiverse: una afferisce all'ordine pubblico mentre l'altra riguarda gli oggettiin dotazione e quindi il servizio, seppur inteso in senso ampio e generico,così come precisato dalla S.C. (Cass. Pen., sez. I, 30 ottobre 2002, n. 36418).L'elemento soggettivo è il dolo generico ed il trattamento sanzionatorio èdeterminato per relationem con gliartt. 164 e 165 precedentemente esaminati: nel caso di oggetti di armamentosino a 4 anni; nel caso di altri oggetti, di vestiario o di equipaggiamento,sino a 6 mesi.

Se invece il materiale,acquistato o ritenuto, sia dimostrabile essere oggetto di un furto o di altroreato, comune o militare, ricorreranno le diverse fattispecie di ricettazione ex art. 648 c.p. o di ricettazionemilitare ex art. 247 c.p.m.p. che, in tal caso, vanno considerate quali normespeciali rispetto alla ritenzione. A stigmatizzare la figurasussidiaria della ritenzione rispetto alla ricettazione è proprio la soggettività attivadella condotta criminosa di cui all'art. 166 c.p.m.p. che è estesa a chiunque,e quindi la sua implicita natura di reato comune e non di reato militare,ancorché previsto nella legge penale militare. La ritenzione è sussidiariarispetto alla ricettazione sotto due punti di vista: in primo luogo, perchétrova applicazione la fattispecie di ricettazione, comune o militare, soltantose è dimostrabile che l'oggetto materiale, acquistato o trattenuto, sia ilprovento di un furto o di altro reato. Pertanto solo qualora non possa esseredimostrato che l'oggetto di armamento, di equipaggiamento o di vestiariodetenuto dal soggetto attivo provenga da reato troverà applicazione lafattispecie di ritenzione che punisce il mero possesso. Per quanto precede èlegittimo sostenere che sul detentore, ai fini della ritenzione, implicitamentegravi un onere della prova che ne sostanzia l'oggettività della fattispecie poiché,come indicato dalla giurisprudenza, ai fini dell'imputabilità rilevano glioggetti detenuti che non siano muniti del marchio o del segno del rifiuto o,comunque, quelli detenuti senza che il detentore possa dimostrare adeguatamentela loro cessazione dalla destinazione d'uso originale, ovvero quella militare.Al contrario, se gli oggetti in questione riportassero, ad esempio, uncontrassegno di dismissione ovvero un particolare contrassegno di "fuoriuso", gli stessi potrebbero essere legittimamente detenuti. La condotta èaltresì lecita quando, sebbene sull'oggetto non siano apposti contrassegni, ildetentore sia in grado di dimostrare comunque la sua cessazione dalladestinazione d'uso originale attraverso idonea documentazione atta acertificarlo (es.:verbale fuori uso). Concludendo, nel caso delle fattispeciericonducibili all'art. 166, anche in relazione all'oggettività giuridicaprotetta, si ritiene ammissibile la predetta particolare forma di inversionedell'onere della prova, altrimenti non sarebbe mai imputabile un comportamentodi questo tipo poiché, essendo lo stesso punibile esclusivamente per dolo e nonanche per colpa, chiunque potrebbe facilmente aggirare l'imputazionesostenendo, nella propria difesa, di non essere a conoscenza che l'oggettoavesse un'origine illegittima.

Daniele PROFILI –daniele.profili@gmail.com

Data: 12/12/2014 17:40:00
Autore: Daniele Profili