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Reato di ingiuria: la valenza offensiva dell'espressione va sempre contestualizzata



Nel reato di ingiuria, al fine “diapprezzare l'esiguità dell'espressione èsempre necessario contestualizzarla, cioè rapportarlaall'ambito spazio-temporale nel quale è stata pronunziata, potendo perderegran parte della sua valenza offensiva ove inserita nel particolare contesto incui è stata proferita”.

Lo ha stabilito la Cassazione (V sezione penale), nella sentenza n. 30790 dell'11 luglio 2014, annullando la condanna di un uomo, imputatodel reato di cui all'art. 594 c.p.per avere apostrofato un collega di lavoro con espressioni diffamatorie.

Contro la sentenza d'appello, la difesa dell'imputatoricorreva per cassazione evidenziando che la statuizione impugnata aveva ritenutoresponsabile l'uomo per avere pronunziato le parole “mi hai rubato un paio di guanti” mentre il capo d'imputazioneindicava la differente espressione diffamatoria "ti hanno visto rubare un paio di guanti", con ciò ritenendo violato il principio di correlazione tracontestazione e sentenza e insistendo sull'assenza di dolo, poiché lafrase realmente proferita si caratterizzava non già per un'accusa personale, ma,bensì, proveniente da terzi e riferita dall'agente.

La S.C. gli ha dato ragione, accogliendo lecensure.

Ha sostenuto, infatti, la Corte che in temadi ingiuriail criterio cui fareriferimento ai fini della ravvisabilità del reato è il contenuto della frase pronunziata e il significato che le parole hannonel linguaggio comune, prescindendo dalle intenzioni inespressedell'offensore, come pure dalle sensazioni puramente soggettive che la frasepuò aver provocato nell'offeso, occorrendofare riferimento a un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalitàdell'offeso e dell'offensore, nonchéal contesto nel quale l'espressione sia stata pronunziata, mentrel'elemento soggettivo richiesto è ildolo generico, per il quale è, però, necessario pur sempre che l'agentefaccia consapevolmente uso di parole ed espressioni socialmente interpretabilicome offensive”.

È, pertanto, errato, per la Cassazione,sostenere, come ha fatto il giudice di merito, nel caso di specie, l'indifferenzalessicale tra le due espressioni, giacchè solo la prima (“tu mi hai rubato i guanti”) può essere considerata “lesiva dell'onore della parte offesa,poiché la nozione di onore attiene alle qualitàe ai valori morali (rettitudine, probità, lealtà) che concorrono a determinareil valore di un individuo, mentre la seconda (“ti hanno visto rubare i guanti”) non può considerarsi anch'essa,nello stesso modo lesiva dell'onore dell'incolpato, per avere comunque lapersona offesa fatto propria un'accusa formulata da altri, (in) ogni caso ciòrisolvendosi in una lesione dell'onore dell'incolpato".

Percui, secondo la Corte, considerato che in base al contesto in cui è statapronunziata, l'espressione viene aperdere la sua valenza offensiva, non essendo sorretta dalla volontà dell'agentedi offendere l'altrui onore o l'altrui reputazione, la sentenza va annullata senza rinvio, perché il fatto non costituisce reato.

Data: 01/08/2014 12:00:00
Autore: Marina Crisafi