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Cassazione: onere della prova nel giudizio di risarcimento danni da mobbing



di Licia Albertazzi - Corte di Cassazionecivile, sezione lavoro, sentenza n. 10424 del 14 Maggio 2014.

Per ottenere il risarcimento del danno da mobbing è onere del lavoratore provare tutti gli elementi necessari alla sua configurabilità. Ce lo ricorda la Corte di Cassazione occupandosi del ricorso di un impiegato dell'Agenziadelle Entrate che aveva chiesto il risarcimento del danno da mobbing.

La domanda era stata rigettata sia in primo che in secondo grado ed il caso finiva in Cassazione.

La Suprema corte, dopoaver richiamato la corretta qualificazione del mobbing come “la condotta del datore di lavoro,sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti dellavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolva, sul pianooggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare ilcosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul pianosoggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro diarrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendentemedesimo”, ha evidenziato che nel caso di specie non è stata raggiunta la prova perintegrare la fattispecie di mobbing.

Ildipendente infatti avrebbe dovuto provare una serie di elementi idonei ai fini della configurabilità del mobbing e tra questi: il nesso eziologico intercorrente tra la condotta deldatore di lavoro (o del superiore gerarchico) e il danno subito, alla salute e/o allapersonalità; l'intento persecutorio; la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio.

La Corte ha anche chiarito che obblighi di protezione del lavoratore ineriscono a problematicagiuridica differente rispetto alla domanda di mobbing (nella specie attivata dal ricorrente): nel caso il lavoratore non avesse chiaramentequalificato la propria domanda in richiesta di accertamento econdanna del datore per mobbing, allora il giudice del merito, nelcaso in cui non risultasse in maniera univoca che i comportamentiposti in essere dal datore di lavoro e dai colleghi avessero naturavessatoria – mancando allo stato un reale intento persecutorio,elemento indispensabile al fine di configurare una condotta dimobbing – avrebbe dovuto comunque valutare se alcuni deicomportamenti denunciati potessero essere considerati mortificantiper il lavoratore, decidendo per l'eventuale risarcimento del danno.

Avendo tuttavia il ricorrente qualificato nel merito la propriadomanda come mobbing e avendo il giudice d'appello correttamente elogicamente argomentato, il ricorso è rigettato.

Qui si seguito il testo integrale della sentenza.

Data: 20/05/2014 16:00:00
Autore: Licia Albertazzi