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Cassazione: violazione della riservatezza se l'installazione dell'impianto di videoripresa puntato sui dipendenti al lavoro non è autorizzata



La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4331 del 30gennaio 2014, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un datore di lavoroavverso la sentenza che lo aveva condannatoalla pena di Euro 200 di ammenda per il reato di cui all'articolo 4, comma 2, L.300/1970 per avere, quale legale rappresentante di una s.n.c., installato unimpianto audiovisivo di controllo a distanza dei lavoratori delle casse del suosupermercato senza accordo con le rappresentanze sindacali e senzaautorizzazione dell'Ispettorato del lavoro.

Ildatore di lavoro nel ricorso in Cassazione, adduce violazione dell'articolo 4,comma 2, L. 300/1970, negando che l'installazione dell'impianto audiovisivo siadi per sé integrativa della condotta criminosa. La norma, invero, stabilisce:"Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti daesigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma daiquali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività deilavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con lerappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con lacommissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro,provvede l'Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l'usodi tali impianti".

Lanorma - afferma la Suprema Corte - tuttora vigente pur non trovando piùsanzione nell'articolo 38, comma 1, sempre dello Statuto dei lavoratori dopo lasoppressione del riferimento all'articolo 4 nel suddetto articolo 38, comma 1,operata dall'articolo 179 d.lgs. 196/2003 (che colma la lacuna con il combinatodisposto dei suoi articoli 114 e 171), prevede una condotta criminosarappresentata dalla installazione di impianti audiovisivi idonei a ledere lariservatezza dei lavoratori, qualora non vi sia stato consenso sindacale (oautorizzazione scritta di tutti i lavoratori interessati) o permesso dall'Ispettoratodel lavoro.

Secondoil ricorrente, tuttavia, non è sufficiente l'installazione dell'impianto,occorrendo anche una "successiva verifica della sua idoneità": epoiché l'impianto "è stato eseguito in conformità al progetto allegatoalla richiesta di autorizzazione in seguito approvato, è palese che il reatonon sussiste perché le modalità delle riprese visive, peraltro effettuatesoltanto dopo ottenuta l'autorizzazione della D.P.L., non sono tali da lederela privacy dei lavoratori".

Ditutt'altro avviso i giudici di legittimità che affermano come "l'idoneitàdegli impianti a ledere il bene giuridico protetto, cioè il diritto allariservatezza dei lavoratori, necessaria affinché il reato sussista emerge ictuoculi dalla lettura del testo normativo - idoneità che peraltro è sufficienteanche se l'impianto non è messo in funzione, poiché, configurandosi come unreato di pericolo, la norma sanziona a priori l'installazione, prescindendo dalsuo utilizzo o meno".

Adabundantiam - si legge nella sentenza - tale accertamento è stato effettuato,come emerge dalla descrizione dell'impianto nella sentenza impugnata, impiantoinclusivo di otto microcamere a circuito chiuso, "alcune puntatedirettamente sulle casse ed è dei lavoratori alle casse che l'imputazionecontesta la violazione della privacy.

Data: 04/02/2014 10:00:00
Autore: L.S.