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Spese processuali e violazione dei minimi tariffari stabiliti: la Cassazione fa il punto



“Il giudicedi merito deve motivare la scelta di ridurre gli importi richiesti dalle partinella nota spese ritualmente depositata, tuttavia è consentito alla Corte dicassazione, ove non siano necessari accertamenti di fatto, verificare lacorrettezza della suddetta liquidazione e, in caso positivo, rigettare ilricorso integrando la motivazione della sentenza impugnata, in applicazionedell'art. 384, comma 4, c.p.c.”

A dirlo è laCorte di Cassazione con sentenza n. 1761 del 28 gennaio 2014.

Oggetto delricorso, la sentenza con la quale il giudice di merito – nella specie la Corted'Appello competente – riduceva le spese processuali a carico della partesoccombente in misura inferiore al minimo tariffario stabilito (d.m. 8.4.2004n. 127), e alla nota spese ritualmente depositata dall'appellante all' esitodel giudizio di primo grado.

Due le questioniportate dinanzi alla Cassazione: Prima tra tutte, quella di stabilire se – comenel caso di specie- dinanzi alla scelta del giudice di merito di ridurreimmotivatamente le somme richieste dal difensore con la nota spese, ci si trovidi fronte a un difetto assoluto di motivazione e se, tale sia in grado di imporreipso iure la cassazione con rinvio della sentenza senza alcun'altraconsiderazione, ovvero se, al contrario, posto il caso suddetto, vi sia lapossibilità in sede di legittimità di verificare comunque la congruità dellespese liquidate dal giudice di merito, onde limitarsi a correggerne lamotivazione, ai sensi dell'art. 384, ultimo comma, c.p.c..

Alcunepremesse prima della decisione.

L'art. 75disp. att. c.p.c.- afferma la Corte - impone al difensore, al momento delpassaggio in decisione della causa, di “unire al fascicolo di parte la notadelle spese, indicando in modo distinto e specifico gli onorari e le spese, conriferimento all'articolo della tariffa dal quale si desume ciascunapartita".

La notadelle spese di cui all'art. 75 c.p.c. non è vincolante per il giudice, ilquale, nel condannare la parte soccombente alla rifusione delle spese in favoredi quella vittoriosa (art. 91, comma primo, c.p.c.), può tuttavia escludere laripetizione delle spese ritenute eccessive o superflue (art. 92, comma primo,c.p.c.).

Leprevisioni del codice di rito appena ricordate vanno, poi, integrate con quantodisposto dall'art. 60 r.d.l. 27.11.1933, n. 1578 (convertito, conmodificazioni, in legge 22 gennaio 1934, n. 36), recante l'ordinamento dellaprofessione di avvocato. L'art. 60, comma quarto, r.d.l. 1578/33 stabilisce chel'autorità giudiziaria deve contenere la liquidazione delle spese entro ilimiti del massimo e del minimo stabiliti col decreto ministeriale difissazione delle tariffe forensi. Il successivo comma quinto, poi, consente algiudice di liquidare importi superiori al massimo od inferiori al minimotariffario: nel primo caso, "quando il pregio intrinseco dell'opera logiustifichi"; nel secondo caso, "quando la causa risulti di faciletrattazione". La riduzione, tuttavia, non può essere inferiore alla metà(art. 4 L.13.6.1942, n. 794). Nell'una, come nell'altra ipotesi, la legge soggiunge che"la decisione del giudice deve essere motivata".

Ebbene, inun quadro normativo così posto, tre sono i corollari ivi discendenti: (1)quando il giudice liquida le spese secondo gli importi risultanti dalla notularitualmente depositata, non è tenuto a particolari oneri di motivazione, salvoche la congruità di essa non sia stata specificamente contestata; (2) quando,invece, il giudice ritiene di dovere avvalersi della facoltà di cui all'art.92, comma primo, c.p.c. (e cioè escludere la ripetizione delle spese eccessiveo superflue) ha l'onere di indicare: (2a) quali spese abbia inteso ridurre odescludere; (2b) quali ragioni le rendano eccessive o superflue (ex plurimis, Sez.3, Sentenza n. 18906 del 08/08/2013; Sez. 6-2, Ordinanza n. 7293 del30/03/2011; Sez. L, Sentenza n. 4404 del 24/02/2009; Sez. 3, Sentenza n. 2748del 08/02/2007; Sez. 5, Sentenza n. 13085 del 01/06/2006; Sez. L, Sentenza n.11483 del 01/08/2002; Sez. 2, Sentenza n. 8160 del 15/06/2001; Sez. 1, Sentenzan. 6816 del 02/07/1999; Sez. 3, Sentenza n. 196 del10/01/1966); (3) analogamente, il giudice avrà l'obbligo dimotivare la propria decisione - ed in questo caso per espressa previsione dilegge - quando ritenga di liquidare gli onorari in misura superiore al massimood inferiore al minimo (Sez. L, Sentenza n. 564 del 12/01/2011; Sez. L,Sentenza n. 27804 del 21/11/2008).

Se tutto ciòè vero, è allora evidente che la scelta effettuata dalla Corte d'Appello di nonmotivare la riduzione delle spese processuali a carico della soccombente, è inpalese contrasto col principio per cui “il dissenso del giudice dalle sommerichieste con la notula o la liquidazione di importi inferiori al minimotariffario dev'essere espressamente motivata”.

La Cassazione fa il punto.

«L'art. 384,ultimo comma, c.p.c., stabilisce che “non sono soggette a cassazione lesentenze erroneamente motivate in diritto, quando il dispositivo sia conformeal diritto; in tal caso la Corte si limita a correggere la motivazione".

Tale norma èstata tradizionalmente interpretata nel senso che il potere della Corte dicassazione di correggere la motivazione della sentenza impugnata può essereesercitato solo quando una motivazione esista, ma sia scorretta, e non giàquando manchi del tutto: e ciò sul presupposto che la mancanza dellamotivazione non permette di accertare se la pronuncia impugnata sia statamotivata da erronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto (Sez.5, Sentenza n. 23328 del 09/11/2011; Sez. 2, Sentenza n. 2440 del 14/03/1988).

Tuttaviaquesto risalente principio non osta, nel nostro caso, ad una integrazione dellamotivazione della sentenza impugnata, lasciandone fermo il dispositivo. Ciò perquattro ragioni.

La primaragione è che i ricorrenti, col motivo in esame, si dolgono della violazionedei minimi tariffari stabiliti dal decreto ministeriale applicabile rationetemporis (ovvero il d.m. 8.4.2004 n. 127), e quindi postulano un errore didiritto.

Perverificare se tale errore sussista, questa Corte dovrebbe dunque compiere ungiudizio di diritto, non un accertamento in fatto. In questa sede infatti nonsi discute della spettanza delle suddette spese, o del corretto uso da partedel giudice di merito del potere di compensarle o meno (statuizioni le qualicostituiscono tipicamente valutazioni di fatto riservate al giudice di merito),ma si discute unicamente della corrispondenza tra spese liquidate in sentenza espese liquidabili secondo la legge, il che costituisce una tipica valutazionein diritto (tra le tante decisioni in tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 3651 del16/02/2007).

Se, dunque,all'esito di tale accertamento in diritto il quantum liquidato a titolo dispese processuali dalla Corte d'appello dovesse rivelarsi corretto, l'omessamotivazione da parte del giudice di merito potrà essere surrogata in questasede di legittimità, alla stregua di qualsiasi altro vizio d'una motivazioneche sostenga una decisione corretta.

La secondaragione è il principio di economia processuale e di ragionevole durata delprocesso, di cui all'art. 111 cost., alla luce del quale deve essereinterpretato l'art. 384 c.p.c. (in tal senso, Sez. 3, Sentenza n. 15810 del28/07/2005; Sez. 5, Sentenza n. 1615 del 25/01/2008). Tale principio renderebbe irragionevolecassare una sentenza non motivata, per rinviarla al giudice di merito il quale,però, non potrebbe adottare un decisumdiverso da quello della decisione cassata.

La terza ragione è di ordine logico.

Come giàvisto, l'orientamento che nega la possibilità di applicazione dell'art. 384,comma 4, c.p.c., al cospetto d'una motivazione mancante, si fonda sull'assuntosecondo cui la mancanza della motivazione nella sentenza impugnata non permettealla Corte di cassazione di accertare se la pronuncia sia stata motivata daerronee considerazioni giuridiche o da valutazioni di fatto (Sez. 5, Sentenzan. 23328 del 09/11/2011; Sez. 2, Sentenza n. 2440 del 14/03/1988).

Questoorientamento, quale che ne sia la condivisibilità in iure, si è formato conriferimento a fattispecie in cui il giudice di merito aveva omesso di motivaredecisioni che, in teoria, si sarebbero potute fondare tanto su ragionigiuridiche, quanto su ragioni di fatto (ad es., la sussistenza o meno dellaprova). Quell'orientamento, quindi, non potrebbe trovare applicazione (…) in uncaso come il presente, nel quale non esistono fatti controversi tra le parti,ma soltanto il dubbio sulla correttezza iniure degli importi liquidati a titolo di spese processuali.

La quartaragione, infine, è di ordine sistematico.

Infatti,quale che fosse la soluzione che si volesse dare al problema dei limiti entro iquali alla Corte di cassazione è consentito correggere od integrare lamotivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 384, comma 4, c.p.c.,tale soluzione non potrebbe non tenere conto della specificità dellastatuizioni sulle spese di lite.

Nel giudiziodi legittimità, il codice di procedura accorda ampi poteri alla Corte dicassazione in questa materia: le è infatti consentito accertare e liquidare nonsolo le spese del giudizio di legittimità, ma anche quelle dei gradi di merito,quando la sentenza impugnata sia cassata senza rinvio (art. 385, comma 1,c.p.c.).

Questa normacostituisce espressione del generale principio di economia processuale, invirtù del quale non è luogo a trasferire una causa dall'uno all'altro giudice,quando il giudice rinviante potrebbe da sé solo svolgere le attività richiesteal giudice cui la causa è rinviata.

Se, dunquesi riconosce alla Cassazione il potere di esaminare i fascicoli di merito eliquidare le relative spese processuali quando il giudizio sia destinato aconcludersi dinanzi ad essa a causa dell'erroneità della decisione impugnata, afortiori tale possibilità dovrà ritenersi sussistente quando il giudizio siarresti nella sede di legittimità non perché la decisione impugnata fosseerronea e da cassare senza rinvio, ma perché era corretta nel decisum.

Quanto, poi, al caso in cui la Corte è chiamata a valutare la correttezza di unaliquidazione già effettuata dal giudice di merito, deve concludersi per lapossibilità riconosciuta alla Corte di cassazione, ove non siano necessariaccertamenti di fatto, verificare la correttezza della suddetta liquidazione e,in caso positivo, rigettare il ricorso integrando la motivazione della sentenzaimpugnata, in applicazione dell'art. 384, comma 4, c.p.c..("(...) poiché tantonel caso di cassazione senza rinvio quanto nel caso di rigetto del ricorso ilprocesso si arresta, sarebbe contrario ad ogni logica ritenere che - dati dueesiti processuali ad progressum litis impedientes - il potere di esaminaredirettamente gli atti di merito sia dalla legge accordato alla Corte quando lespese si tratti di liquidarle ex novo, e le sia invece negato quando si trattidi verificare la correttezza d'una liquidazione già compiuta. Se così fosse,infatti, si perverrebbe all'assurdo di imporre il rimedio più grave (lacassazione con rinvio) dove il vizio è meno grave, e viceversa".)»

Data: 01/02/2014 11:00:00
Autore: Sabrina Caporale