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Lavorare nei giorni previsti per il riposo settimanale? Nessun danno biologico per il dipendente.



Il danno biologico ed esistenziale è escluso proprio dalla volontarietàe non obbligatorietà della prestazione resa; mentre, quanto al primo, esso vaprovato mediante allegazioni fattuali.

Questoè quanto deciso dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 26398 del26 novembre 2013.

Lavicenda era stata sollevata da due dipendenti (nella specie, due autisti)dell'Azienda Mobilità Trasporti SpA, i quali – ciascuno con proprio ricorso –lamentavano di aver prestato la propriaattività lavorativa anche nei giorni dedicati al riposo settimanale e, nonostante il fatto che “il ciclo lavorativo delineatonegli accordi collettivi aziendali prevedesse turni basati su cinque giorni diservizio ed un giorno di riposo”. Gli stessi lamentavano, altresì, lacircostanza di aver prestato, ulteriormente, servizio per più di sei giorniconsecutivi, a seguito dei riposi lavorati nel medesimo periodo.

Il tutto legittimava – adetta dei ricorrenti - la richiesta dicondanna della Azienda convenuta – propria datrice di lavoro - al risarcimentodei danni da loro patiti per i periodi di lavoro effettuati nei giorni di riposo, oltre al risarcimento del maggior danno derivante dallaperdita del riposo medesimo.

Ebbene, già il giudice del primo grado concludevaper il rigetto della domanda come appena enunciata, salvo prevedere per questi utlimi, il pagamento delle indennità previste dall'art. 14 dell'AccordoIntegrativo del 1997.

Allo stesso modo si esprimeva la Corted'Appello di Genova. “In base alle acquisite risultanze probatorie erarisultato che la prestazione di lavoro da parte degli autisti AMT nellegiornate destinate al riposo periodico era sempre stata basata su criteri dipreventiva disponibilità e di pieno consenso da parte dei conducenti, cherispondevano volontariamente ad un interpello sulla loro disponibilità diramatodal controllore dell'autorimessa; pertanto, anche a ritenere la illegittimitàdelle prestazioni espletate, le uniche conseguenze non potrebbero essere chequelle stabilite dall'art. 2126 c.c. e, cioè, la remunerazione del lavorosvolto e non già il risarcimento dei danni, che non potrebbero ascriversi a esclusivaresponsabilità aziendale; né tanto meno poteva dirsi integrato un comportamento colposo del datore di lavoro sulla base dell'art. 2087c.c., quello cioè che obbliga il datore di lavoro a tutelare l'integrità fisicae la personalità morale del lavoratore, poichè un tale obbligo di interventoavrebbe potuto configurarsi solo nel caso in cui le prestazioni (ritenendosiper l'id quod plerumque accidit che una sola prestazione o poche prestazioninon siano di per sè idonee a determinare danno alcuno, tanto più sela prestazione è richiesta dal lavoratore) fossero state in numero tale daimporgli il doveroso controllo richiesto dalla citata disposizione”.

A contrario, leprestazioni effettuate – aggiungevano i giudicanti – ossia quelle riferite “ ai periodiconsecutivi di lavoro superiori a sei giorni, dovevano considerarsi dei tuttosporadiche tenuto conto del numero di volte in riferimento all'anno e delnumero complessivo delle prestazioni nei dieci anni”. (…)

Nessuna responsabilitàcontrattuale, dunque, può imputarsi all'azienda datrice di lavoro e nessun danno può conseguentemente, essererisarcito.

Ai due ricorrenti, spetta semmai il solo pagamento delle oreeffettivamente lavorate, con la maggiorazione per il lavoro eseguito nei giorni festivi, secondo la contrattazione collettiva – cosa che, peraltro, l'Azienda di Mobilitàe Trasporti SpA aveva già a suo tempo provveduto a fare.

Così la Corte di Cassazione rigettava il ricorso concondannava dei ricorrenti alla refusione di tutte le spese di giudizio.

Data: 16/01/2014 12:00:00
Autore: Sabrina Caporale