SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE -Â SEZIONE LAVORo Sentenza n. 14017 - 2013
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 7 settembre 2010 la Corte d'Appello di Catania ha
confermato la sentenza con la quale il Tribunale aveva dichiarato
l'illegittimità delle sanzioni disciplinari irrogate dalla società xxxxxxx al
dipendente xxxxxxx con lettere del 31 ottobre 1997 e del 6 novembre
1997;
l'illegittimità del licenziamento per giusta causa con condanna della
società datrice di lavoro al risarcimento del danno pari a sei mensilità di
retribuzione, oltre al pagamento del trattamento di fine rapporto, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale la Corte d'Appello ha condannato la società
a pagare a favore del lavoratore Euro 21.255, 00, oltre la rivalutazione
monetaria ed interessi legali sulle somme via via rivalutate dalla data della
sentenza al soddisfo, a titolo di risarcimento per il "mobbing" subito dal
lavoratore.
La Corte territoriale ha ritenuto sforniti di prova i fatti
addebitati con le sanzioni disciplinari, nonché quelli posti alla base del
licenziamento per giusta causa. Ha affermato che i testi avevano dichiarato
circostanze apprese de relato e che difettava alcun ulteriore elemento idoneo a
suffragare o confermare i fatti non potendosi attribuire rilievo probatorio alla
circostanza che il lavoratore, nell'immediatezza della contestazione, non aveva
fornito alcuna giustificazione.
La Corte ha, altresì, confermato la misura
del risarcimento per l'illegittimo licenziamento determinata dal Tribunale in
sei mensilità di retribuzione, tenuto conto della durata del rapporto di lavoro
di oltre sei anni e delle dimensioni dell'impresa, di una certa consistenza, pur
avendo meno di 16 dipendenti.
Con riferimento al mobbing la Corte ha rilevato
la sussistenza della prova per il periodo 97/98 delle reiterate condotte
vessatorie della società sia in quanto il lavoratore era stato oggetto di
un
gran numero di contestazioni, risultate non provate, l'ultima determinante
il licenziamento illegittimo; sia in quanto erano stati adottati provvedimenti
disciplinari nel 1998 la cui legittimità la società non aveva affatto provato
non avendo aderito alla costituzione dei collegi di conciliazione, né essendosi
rivolta all'autorità giudiziaria. Ha osservato, inoltre, che i provvedimenti
disciplinari, benché connessi a fatti accaduti in varie epoche precedenti, erano
stati concentrati in brevi periodi: le contestazioni del 1997 erano avvenute
subito dopo l'azione giudiziaria proposta da un
lavoratore parente del
ricorrente e che il xxxxxxx aveva fatto assumere; le contestazioni del 1998
erano avvenute pochi giorni dopo che il lavoratore si era iscritto al sindacato.
Secondo la Corte, pertanto, le contestazioni apparivano strumentali ed
effettuate a scopo ritorsivo.
In ordine al danno subito ed al nesso di
causalità la Corte ne ha ritenuto raggiunta la prova, sia mediante le
deposizioni testimoniali, sia mediante la relazione di consulenza
tecnica.
Infine, circa la quantificazione del danno la Corte territoriale ha
escluso la possibilità di liquidare alcuna somma, in via autonoma, a titolo di
danno esistenziale dovendo ritenersi tale danno già inserito nelle somme
liquidate per danno non patrimoniale e, quindi, considerato che il xxxxxxx aveva
comunque sempre continuato a lavorare, ha determinato il risarcimento in favore
del lavoratore nella complessiva somma di Euro 21.255,00.
Avverso la sentenza
propone ricorso in Cassazione la società xxxxxxx formulando tre motivi.
Si
costituisce xxxxxxx depositando controricorso con ricorso incidentale costituito
da due motivi. La società ricorrente ha depositato controricorso avverso il
ricorso incidentale nonché memoria difensiva ai sensi dell'articolo 378
c.p.c..
Motivi della decisione
Il ricorso principale e quello incidentale devono essere riuniti in quanto
proposti avverso la medesima sentenza.
Con il primo motivo la ricorrente
principale denuncia violazione dell'articolo 116 c.p.c., dell'articolo 7 legge
n. 300 del 1970; nonché insufficiente motivazione circa un fatto controverso
decisivo (art. 360 n. 3 e 5 cpc).
Censura la sentenza nella parte in cui ha
confermato l'annullamento delle sanzioni in quanto ha ritenuto tutti gli
addebiti rimasti sforniti di prova. Osserva che, pur essendo i testi de relato,
la Corte non aveva tuttavia considerato che le dichiarazioni trovavano conferma
nel comportamento del controricorrente, che non aveva fornito alcuna
giustificazione del suo comportamento, nonché
nella deposizione del
teste xxxxxxx che aveva riferito, per conoscenza diretta circa "l'errato
montaggio dei mordenti di sostegno della catena di macellazione"
Con il
secondo motivo la xxxxxxx denuncia violazione dell'articolo 2119 c.c., 116
c.p.c.; dell'articolo 8 legge n. 604 del 1966, dell'articolo 1362 c.c. in
relazione all'articolo 24, lettera e, del C.C.N.L. del settore; nonché
insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo (art. 360 n 3 e 5
cpc).
Censura la sentenza nella parte in cui la Corte ha confermato
l'illegittimità del licenziamento in quanto la società non aveva provato la
negligenza contestata atteso che i testi erano a conoscenza dei fatti solo per
averli appresi da altri. Osserva che i testi, seppure de relato in genere,
avevano confermato che il xxxxxxx aveva saldato una struttura metallica
dell'impianto sito nel macello del comune di Reggio Calabria invece di limitarsi
a montare con bullonatura, come era stato previsto in apposito disegno
progettuale, e di avere inoltre montato non correttamente il complesso delle
distanze tra pedane e linee di macellazione. Rileva che il fatto trovava
conferma nel comportamento del lavoratore che non aveva fornito alcuna
giustificazione e che tale fatto costituiva giusta causa di licenziamento anche
ai sensi dell'articolo 20/4 dei C.C.N.L. di settore che prevedeva il
danneggiamento colposo o volontario al materiale dello stabilimento e al
materiale di lavorazione, oltre che grave insubordinazione.
Censura, altresì,
la determinazione della misura del risarcimento non avendo la Corte valutato le
dimensioni della società, ampiamente al di sotto dei 15 dipendenti, né il
comportamento e le condizioni delle parti.
Con il terzo motivo la ricorrente
denuncia violazione degli articoli 2697, 2087, 2043 c.c.; nonché insufficiente
motivazione circa un fatto controverso decisivo. (art. 360 n. 3 e 5 cpc).
Censura la sentenza nella parte in cui la Corte territoriale ha riconosciuto la
sussistenza del mobbing Deduce che non era stata data la prova sia dal punto di
vista soggettivo che da quello oggettivo di comportamenti persecutori. Contesta,
altresì, la sussistenza del nesso di causalità tra la patologia psichica e la
condotta datoriale essendo la motivazione largamente insufficiente, basata su
una CTU contestata dal CTP e su deposizioni dei testi di dubbia
attendibilità.
Le censure, congiuntamente esaminate stante la loro
connessione, sono infondate. La ricorrente si limita a proporre, sia con
riferimento alle sanzioni disciplinari sia in relazione al licenziamento, una
diversa valutazione dei fatti formulando in definitiva una richiesta di
duplicazione del giudizio di merito, senza evidenziare contraddittorietà della
motivazione della sentenza impugnata o lacune così gravi da risultare detta
motivazione sostanzialmente incomprensibile o equivoca. Costituisce principio
consolidato che "Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità
non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale
sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo
della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva,
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne
l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze
del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei
fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei
mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne
consegue che il preteso vizio di motivazione sotto il profilo della omissione,
insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi
sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile
traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della
controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero quando
esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate,
tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto
a base della decisione”. (Cass. n. 2357del 07/02/2004; n. 7846 del 4/4/2006; n.
20455 del 21/9/2006; n. 27197 del 16/12/2011).
La motivazione della Corte
territoriale, sui vari punti oggetto di impugnazione, è congrua e corretta sul
piano logico-giuridico.
La Corte d'Appello ha, infatti, esaminato tutti gli
elementi probatori pervenendo ad escludere la prova dei fatti addebitati al
lavoratore considerato che i testi avevano riferito circostanze apprese da
terzi, non adeguatamente supportate da altri elementi oggettivi e concordanti
che ne suffragassero la credibilità, o, comunque, generiche non idonee a
costituire prova adeguata dei fatti addebitati. La Corte ha escluso, altresì, in
conformità con i principi espressi da questa Corte, che il comportamento del
lavoratore, il quale a seguito della contestazione non aveva fornito
giustificazioni, potesse esonerare o attenuare l'onere probatorio gravante sulla
società datrice di lavoro.
Quanto, inoltre, alla misura del risarcimento per
l'illegittimo licenziamento le censure svolte dalla ricorrente non sono idonee a
evidenziare errori o difetti di motivazione della sentenza impugnata atteso che
la Corte territoriale ha valutato sia la dimensione dell'azienda, sia la durata
del rapporto di lavoro. Analoghe osservazioni devono essere svolte con
riferimento alla prova del "mobbing" avendo la Corte territoriale adeguatamente
motivato la raggiunta prova della prolungata vessazione psicologica cui era
stato sottoposto il A, attuata in modo sistematico, ripetuto e per un
apprezzabile periodo temporale. È risultato che i suddetti addebiti ed i
relativi procedimenti disciplinari relativi anche a fatti accaduti in vari
periodi precedenti siano stati concentrati in brevissimi periodi (contestazioni
del 1997) per il fatto che il xxxxxxx era stato, da parte dell'azienda
considerato responsabile dell'azione giudiziaria proposta da un suo parente che
egli aveva fatto assumere dall'azienda ; le contestazioni del 1998 risultavano,
invece, effettuate pochi giorni dopo che il xxxxxxx si era iscritto al
sindacato.
La valutazione degli elementi di fatto effettuata dalla Corte è
esente da vizi logici o contraddizioni con la conseguenza che non è consentito,
in sede di legittimità, di procedere ad una rivalutazione degli stessi elementi,
per trame un convincimento conforme a quello sostenuto dalla parte. Circa la
sussistenza del danno subito dal lavoratore a causa del comportamento del datore
di lavoro e del nesso di causalità, la Corte ha richiamato le conclusioni del
CTU attestante lo stress subito dal A a causa dei ripetuti addebiti che gli
erano stati mossi, le risposte da quest'ultimo date ai rilievi formulati dal CTP
della società, nonché gli elementi emersi dalla prova testimoniale.
Le
motivazioni assunte dalla Corte sono ampie e complete con la conseguenza che la
sentenza impugnata, anche sotto tale profilo, resiste a tutte le censure ad essa
rivolte. Per le premesse considerazioni il ricorso principale deve essere
respinto.
Con il ricorso incidentale il xxxxxxx denuncia, con un primo
motivo, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2056, 2059, 1223, 1226,
CC (art. 360 n. 3 cpc); violazione degli articoli 2, 3, 32 della Costituzione e
del principio di rilievo costituzionale del risarcimento integrale del danno
alla persona; insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su un punto
decisivo della controversia riguardante la quantificazione del danno (art. 360
n. 5 cpc).
Censura la sentenza nella parte in cui la Corte afferma che il
danno esistenziale deve considerarsi già inserito nelle somme liquidate a titolo
di danno non patrimoniale, dovendo, secondo il A, tale danno ricevere
un'autonoma valutazione. Lamenta che la Corte aveva ridotto ad 1/4 il
risarcimento giornaliero per l'invalidità temporanea totale sul presupposto che
era continuata l'attività lavorativa, omettendo di valutare che lo svolgimento
dell'attività lavorativa era irrilevante attenendo al danno patrimoniale.
Lamenta, altresì, che la Corte aveva affermato di applicare le tabelle di
Milano, ma in realtà aveva applicato altro.
Con il secondo motivo il xxxxxxx
denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223 e 2056 cc (Art. 360 n.
3 cpc). Censura la sentenza nella parte in cui fa decorrere interessi e
rivalutazione dalla sentenza Le censure, congiuntamente esaminate in quanto
attinente alla liquidazione del danno, sono infondate.
Dalla lettura
integrale della sentenza d'appello si evince che la Corte territoriale non ha
inteso negare l'esistenza del danno esistenziale - sempre risarcibile alla
stregua del disposto dell'art. 2043 cc violandosi un diritto della persona anche
se la condotta offensiva non costituisce reato - ma lo ha inteso includere nel
danno biologico applicando un criterio liquidativo complessivo ed
equitativamente determinato (pari ad Euro 16,25 al giorno) che risulta aver
tenuto conto anche dei criteri soggettivi, avendo fatto riferimento alla
specifica posizione lavorativa del xxxxxxx che non aveva cessato di lavorare
"dando così prova di aver conservato integra la maggior parte del proprio stato
di salute". Né può considerarsi errata la liquidazione degli accessori al danno
liquidato globalmente fino alla sentenza in quanto il giudice d'appello ha con
una formula generale (rivalutazione monetaria ed interessi legali decorrenti
dalla data della sentenza) indicato un criterio di quantificazione che lungi da
intendersi come disapplicativo dei principi più volte, sul punto, ribaditi dalla
giurisprudenza circa la decorrenza della rivalutazione monetaria dal verificarsi
del fatto in caso di debito di valore quale quello in esame, deve, invece,
leggersi come rispettoso di tali principi avendo la Corte manifestato di aver
valutato il danno complessivamente determinato all'epoca della sentenza (i fatti
si riferiscono invece agli anni 1997/1998) già comprensivo di detti
accessori.
Per le considerazioni che precedono deve essere respinto anche il
ricorso incidentale.
Il rigetto di entrambi i ricorsi giustifica la
compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.
La Corte
Riunisce i ricorsi e li rigetta.
Spese compensate.