Una recente pronuncia della Corte Suprema "ammorbidisce" l'applicazione delle misure cautelari nei confronti di un soggetto indagato per il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 codice penale). Si tratta della sentenza n. 36392 del 28 agosto 2014, con cui la Corte di Cassazione ha annullato con rinvio l'ordinanza del Tribunale che disponeva la custodia cautelare in carcere per un uomo accusato di aver maltrattato moglie e figlio minore. 

Sebbene, infatti, il fumus delicti fosse consistente e lo stesso Giudice di merito avesse ritenuto che il particolare "stato di soggezione" della moglie rendeva inopportuno un ritorno a casa del marito, tuttavia - secondo la Corte - la misura carceraria non risultava sufficientemente motivata. Oltretutto - faceva notare il ricorso -, dopo un primo periodo di separazione,  era stata la stessa moglie a riammettere in casa l'indagato, il quale aveva nel frattempo trovato un lavoro stabile e si stava impegnando a ricostruire un rapporto familiare sereno. 

Pertanto, anche alla luce delle ultime novità legislative - che prevedono il ricorso alle misure cautelari detentive solo come 'extrema ratio' -, gli Ermellini hanno ritenuto che non emergesse dal provvedimento giudiziario una precisa esigenza di custodia carceraria (mentre avrebbero potuto essere disposte le più blande misure di cui agli artt. 282-bis e 282-ter c.p.c.), e hanno così accolto il ricorso dell'uomo, rinviando alla giurisdizione di merito per una nuova valutazione delle misure da applicarsi.

Art. 572 Codice PenaleMaltrattamenti contro familiari o conviventi

Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da due a sei anni.


Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni


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