Articolo 590 del codice di procedura penale Trasmissione di atti in seguito all'impugnazione

Testo della norma

1. Al giudice della impugnazione sono trasmessi senza ritardo il provvedimento impugnato, l'atto di impugnazione e gli atti del procedimento.

 

Fonti

Codice di procedura penale – Libro Nono – Impugnazioni – Titolo I – Disposizioni generali (artt. 568-592)

 

 

Contenuto e applicazione

La ratio della disposizione in commento, che affida il controllo sull’ammissibilità dell’impugnazione esclusivamente al giudice ad quem, è quella di evitare, in un’ottica di garanzia, che lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento impugnato (giudice a quo) possa impedire il giudizio di impugnazione.

Dal punto di vista procedurale, pertanto, la competenza alla declaratoria di inammissibilità è affidata dalla legge al solo giudice dell’impugnazione (Cass. 4.7.1992), per cui nessun potere compete al giudice a quo, salva la competenza in materia di misure cautelari ex artt. 279 c.p.p. e 91 disp. att. c.p.p. sempre che non abbia già provveduto all’invio degli atti al giudice ad quem (Cass. 1.4.2009).

Quanto al termine entro il quale il passaggio degli atti debba avvenire, la norma non indica limiti temporali né stabilisce alcuna sanzione processuale, limitandosi a stabilire che la trasmissione sia disposta “senza ritardo”.

In merito, la giurisprudenza ha ritenuto che l’omessa trasmissione degli atti del processo di primo grado alla Corte d’appello, integri una nullità di carattere generale a regime intermedio, a patto che la parte che la invoca fornisca la prova rigorosa tramite allegazione documentale specifica o trascrizione degli atti processuali rilevanti (Cass. n. 21928/2008).

La decisione sull’inammissibilità può essere assunta anche d’ufficio, con ordinanza pronunciata in camera di consiglio, che dispone anche l’esecuzione del provvedimento impugnato (cfr. art. 591, 2° comma, c.p.p.).

L’ordinanza, notificata a chi ha proposto l'impugnazione e al difensore, se è stata presentata personalmente dall’imputato, è soggetta a ricorso per cassazione (cfr. art. 591, 3° comma, c.p.p.).

I motivi di inammissibilità sono elencati nel primo comma dell’art. 591 c.p.p. e consistono nel difetto di legittimazione o mancanza di interesse da parte dell’impugnante; nell’inoppugnabilità del provvedimento; nella mancata osservazione delle disposizioni sulla forma, presentazione, spedizione e termini dell’impugnazione; nella rinuncia all’impugnazione.

Posto che il giudice può ben rilevare una causa di inammissibilità anche nel corso della valutazione di merito, l’art. 591, 4° comma, c.p.p., riconosce il potere-dovere ai giudici successivi di procedere con la declaratoria di inammissibilità “in ogni stato e grado del procedimento”.

Laddove, invece, il giudice abbia dichiarato erroneamente l’inammissibilità, se l’errore è stato commesso dal giudice d’appello potrà essere emendato con il ricorso in cassazione (e non già con la revoca dell’ordinanza); se a incorrere in errore, invece, è stato il giudice di legittimità, l’ipotesi trova soluzione nel correttivo di cui all’art. 625-bis c.p.p. (Cass. n. 37984/2002).

 

 

Giurisprudenza essenziale:

 

Cassazione civile, sentenza 20/10/2014 n. 22232

Nel giudizio di appello avente ad oggetto una querela di falso, è necessario che la pendenza del medesimo venga comunicata al P.M. presso il giudice "ad quem" - affinché sia posto in grado di intervenire - e non al P.M. presso il giudice "a quo", che non è legittimato a proporre impugnazione. La conseguente omissione è causa di nullità del giudizio di appello e della relativa sentenza.

 

Cassazione penale, sentenza 19/10/2012, n. 49970

Allorché i risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni autorizzate con provvedimento motivato "per relationem" siano acquisiti in procedimento diverso da quello in cui furono disposte, la parte che ne eccepisce l'inutilizzabilità, per essere la relativa motivazione solo apparente, ha l'onere di produrre sia il decreto di autorizzazione sia il documento al quale esso rinvia, in modo da porre il giudice del procedimento "ad quem" in grado di verificare l'effettiva inesistenza, nel procedimento a quo, del controllo giurisdizionale prescritto dall'art. 15 cost.

 

Cassazione penale, sentenza 02/07/2012, n. 43913

In tema di appello cautelare, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall'impugnante, ma anche dal "decisum" del provvedimento gravato, sicché con l'appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell'istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d'ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo.

 

Cassazione penale, sentenza 26/04/2012, n. 30815

Sono utilizzabili, ai fini cautelari, i risultati delle intercettazioni telefoniche, disposte a seguito di captazione eseguita in diverso procedimento, di cui non sia stato acquisito l'originario provvedimento autorizzativo né sia stato effettuato alcun deposito ex art. 270 c.p.p., in quanto le risultanze dell'intercettazione del procedimento a quo influiscono sulle autorizzazioni relative al procedimento "ad quem" come mero presupposto di fatto, incidente sulla motivazione dei successivi, autonomi provvedimenti autorizzativi solo sotto il profilo della loro rilevanza ai fini della verifica dei "gravi indizi di reato", richiesta dall'art. 267, comma 1, c.p.p., mentre il deposito di cui all'art. 270, comma 2, c.p.p. - da effettuarsi con le modalità previste dall'art. 268, commi 6 e 8, c.p.p. - non rileva, a pena di inutilizzabilità, nel corso delle indagini preliminari, trattandosi di adempimento che può essere legittimamente procrastinato per esigenze investigative, non oltre il termine delle indagini stesse, ex art. 268, comma 5, c.p.p., fermo restando che, ove la parte richieda una verifica al riguardo, il giudice di merito è tenuto ad effettuarla in via incidentale.

 

Cassazione civile, sentenza 02/03/2012, n. 3338

L'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, vale a dire con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa, nonché da quella operata dalla parte, potendo, in ogni caso, il giudice ad quem esercitare il potere di qualificazione, che non sia stato esercitato dal giudice a quo, non solo ai fini del merito, ma anche dell'ammissibilità stessa dell'impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha qualificato l'impugnato provvedimento di sospensione, mancando in esso un espresso richiamo normativo, come adottato ai sensi dell'art. 279, comma 4, c.p.c., e non ai sensi dell'art. 295 c.p.c., essendo stato pronunciato in seguito alla proposizione dell'appello avverso la sentenza non definitiva, sull'istanza del difensore della parte appellante e, dunque, con riferimento ad una vicenda interna alla medesima causa)

 

Cassazione civile, sentenza 10/06/2011, n. 12853

Nei giudizi in cui il p.m. è litisconsorte necessario in concorrenza con le parti private ed è titolare di un autonomo potere di impugnazione, il relativo atto di appello deve essere notificato anche al p.m. presso il tribunale e, in difetto, il giudice di secondo grado deve disporre l'integrazione del contraddittorio nei suoi confronti a norma dell'art. 331 c.p.c. Tale integrazione è necessaria anche quando l'atto di appello sia stato notificato al p.g. presso la corte di appello o questi sia ritualmente intervenuto nel giudizio di secondo grado, atteso che l'ordine di integrazione del contraddittorio è funzionale all'eventuale proposizione del gravame incidentale a cui non è legittimato il p.m. presso il giudice ad quem, e, pertanto, dal suo intervento non possono conseguire gli effetti cui è intesa l'integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 citato. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza della Corte di merito che aveva dichiarato l'inammissibilità dell'appello avverso una sentenza del tribunale per i minorenni che aveva dichiarato lo stato di adattabilità di alcuni minori, per non essere stato il gravame notificato al p.m. presso il tribunale e per non avere le parti tempestivamente provveduto all'ordine di integrazione del contraddittorio, disposto dalla medesima corte di appello).

 

Tribunale  Catanzaro, sentenza 22/03/2011

Il reclamo è (ed è sempre stato) un mezzo di gravame pienamente devolutivo e ad efficacia sostitutiva della pronuncia resa nel primo grado cautelare, laddove la prima caratteristica sta a significare che tutti i "materialia causae" a disposizione del giudice "a quo" passano automaticamente a quello di reclamo, mentre la seconda pone in evidenza che, qualunque sia l’esito del reclamo, la decisione delgiudice "ad quem" si sostituisce sempre a quella di prime cure, sia essa di revoca, modifica, conferma della precedente misura o di concessione per la prima volta del provvedimento cautelare.

 

Tribunale  Milano, sentenza 24/02/2010

Nel caso di impugnazione in cassazione per atto abnorme del decreto di citazione diretta a giudizio conseguente a imputazione coatta ai sensi dell'art. 409 comma 5 c.p.p. a seguito di una richiesta di archiviazione in procedimento contro ignoti, senza che sia stato quindi notificato il relativo avviso ex art. 415 bis c.p.p., non spetta al giudice "a quo" deliberare in ordine alla ammissibilità e fondatezza del ricorso alla cassazione, potendo egli solo disporre ex art. 590 c.p.p. la trasmissione alla Suprema Corte degli atti così come predisposti dal g.i.p.

 

Cassazione penale, sentenza 01/04/2009, n. 19168

In caso di impugnazione, la competenza a provvedere sull'istanza di esecuzione del dissequestro di un bene disposto con la sentenza di primo grado appartiene al giudice che procede, individuato in quello che ha la materiale disponibilità degli atti a norma degli art. 590c.p.p. e 91 disp. att. c.p.p. (Fattispecie in cui è stata ritenuta la competenza della Corte d'appello, alla quale gli atti erano stati trasmessi dal g.i.p. già in epoca antecedente alla data di presentazione dell'istanza di restituzione).

 

Corte europea diritti dell'uomo, sentenza 20/12/2005

Il ricorrente era stato processato per tentata violenza sessuale ai danni di un minore. Era stato condannato in primo grado ed aveva esperito ricorso per cassazione per motivi di legittimità. Il 4 novembre 1999 la Corte di cassazione aveva dichiarato inammissibile il ricorso perché tardivo.

Il ricorrente lamentava la violazione dell'art 6 § 1 Cedu (diritto ad un processo equo) in quanto non era stato informato della data dell'udienza avanti la Corte di cassazione e, conseguentemente, non aveva potuto presentare una difesa sotto forma di memoria.

La Corte europea ha rilevato che la Corte di cassazione non aveva deciso sul merito dell'impugnazione in quanto il ricorso era inammissibile ai sensi degli artt. 585-1 e 590 c.p.p. francese poiché era scaduto il termine per la sua proposizione. Pertanto, informare il ricorrente della data dell'udienza al fine di consentirgli il deposito di una memoria di replica alle conclusioni dell'Avvocato generale non avrebbe comportato alcuna differenza nell'esito del procedimento. La Corte, pertanto, ha ritenuto all'unanimità che non vi fosse stata violazione dell'art. 6 § 1 Cedu.

 

Cassazione penale, sentenza 18/12/1990

L'art. 279 del nuovo c.p.p. dispone che sull'applicazione e sulla revoca delle misure cautelari personali nonché sulle modifiche delle loro modalità esecutive provvede il giudice delle indagini preliminari prima dell'esercizio dell'azione penale e, successivamente, il giudice che procede. Per giudice che procede deve intendersi, al di fuori della fase delle indagini preliminari, quello che ha la disponibilità degli atti, sicché in caso di impugnazione la competenza passa dal giudice "a quo" al giudice "ad quem" all'atto in cui, a norma dell'art. 590 del suddetto codice, vengono trasmessi gli atti, come del resto è specificato dall'art. 91 delle disposizioni di attuazione del nuovo codice.

 

Cassazione penale, sentenza 12/12/1985

La revoca della sospensione condizionale della pena, dovendo essere pronunziata di diritto nei casi previsti dall'art. 168 c.p., ed anzi dovendo provvedersi dal giudice dell'esecuzione ove non sia stato provveduto nel giudizio di cognizione (art. 590 c.p.p.), può e deve essere pronunziata dal giudice d'appello, anche in mancanza d'impugnazione del p.m., costituendo essa un necessario ed automatico effetto penale della nuova condanna riportata dall'imputato, non potendo trovare applicazione l'art. 515 c.p.p., nè relativamente al divieto della reformatio in peius, nel caso di appello del solo imputato, e nemmeno relativamente alla regola del tantum devolutum quantum appellatum.

 

Cassazione penale, sentenza 11/11/1977

È inibito al giudice dell'esecuzione competente a disporre la revoca della sospensione della pena, ai sensi dell'art. 590 c.p.p., compiere valutazioni di natura discrezionale consentite solo al giudice dell'impugnazione.

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