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Data: 16/11/2007 - Autore: Marina Florio
Considerazioni generali sulle prime prassi applicative della Legge
n.54/06 (affido condiviso) Riforma innovativa o mera petizione di principio? Indice:
1.Premessa; 2.Affido condiviso ed affidamento monogenitoriale: tutto cambia per
restare come prima?; 3.Concreto contenuto dell'affidamento condiviso: alcune
questioni processuali;4.Affidamento condiviso e risvolti economici: 4° co, art.155
c.p.c. 1. Premessa Una rapida disamina delle prime prassi applicative della L.54/06
fa paventare il dubbio che l'affannosa conquista dell'equa ripartizione, in uno
all'esercizio "congiunto e/o disgiunto" ma comunque paritario, delle responsabilità
connesse alla potestà genitoriale, non rappresenti altro che una mera petizione di
principio. E' indubbio che la riforma, frutto di molteplici spinte, prima di tutto
di ordine sociale e morale, sia stata accolta come approdo ad una agognata
modernità. Da un lato, infatti, la stessa ha dato voce alle declamazioni delle lotte
associazioniste dei "padri separati", così come di svariate associazioni di
operatori del diritto (AIAF, Camere minorili, Forum associazione donne giuriste,
Anm, Aimmf, etc..) che hanno recepito spinte emotivo -relazionali ispirate ad una
condivisione dei ruoli e delle responsabilità genitoriali anche nel venir meno della
condivisione delle "coniugalità". Dall'altro, la riforma si è posta come risposta al
necessario allineamento ai principi giuridicamente già sanciti in diversi Paesi
Europei (Svezia, Francia e Spagna, sin dal 1981; Regno Unito: Children Act 1991;
Francia: Legge 8/01/93; Olanda: Legge 1/01/98; Germania: Legge 1/06/98) oltre che
sulla scorta degli orientamenti da tempo espressi in sede internazionale e
comunitaria che pongono il m inore al centro della tutela giuridica. Tuttavia, ad
un'immediata lettura del testo della riforma, emerge icto oculi come l'entusiasmo
dell'obiettivo perseguito, abbia, contestualmente, messo in luce l'arditezza della
sua concreta realizzazione, imbattendosi in espressioni dall'impatto suggestivo, ma
sovente generico e financo contraddittorio. Tutto ciò, ingenera la sensazione di
trovarsi dinanzi all'affascinante e sofisticata cornice di un quadro ancora da
dipingere o quanto meno da delineare, perfezionare e completare con maggiore
nitidezza. Le modifiche introdotte dalla legge prestano il fianco a numerosi spunti
di riflessione, sia di ordine generale, sia di natura squisitamente
tecnico-processuale che, in questa sede, ci si limita a circoscrivere a due aspetti
in particolare ravvisabili nell'art.155 c.c.: 1) Concreto contenuto e significato
dell'affido condiviso; 2) Dubbi processuali inerenti ai "contrasti per questioni di
maggior interesse riguardanti i figli"; 3) Riflessi di ordine economico. 2. Affido
condiviso ed affidamento monogenitoriale: tutto cambia per restare come prima?
L'espressione di "gattopardiana memoria" non assurge ad altro che ad una riflessione
provocatoria sui concreti riflessi della riforma che - ad avviso della scrivente -
si prospetta solo astrattamente rivoluzionaria. Probabilmente una sua corretta
interpretazione, scevra dalle fuorvianti distorsioni alle quali si presta, potrebbe
scongiurare il rischio di difficoltà applicative e conflitti dalle proporzioni
dirompenti - purtroppo già rilevati - proprio in danno di quel preminente interesse
dei figli che, viceversa, rappresenta, proprio l'ineludibile obiettivo cui ambisce.
L'art.155 c.c. come sostituito dalla riforma così recita: (Provvedimenti riguardo ai
figli) "Anche in caso di separazione personale dei genitori, il figlio minore ha il
diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di
ricevere cura, educazione e istruzione di entrambi e di conservare rapporti
significativi con gli ascendenti e con parenti di ciascun ramo genitoriale. Per
realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la
separazione personale dei coniugi adotta provvedimenti relativi alla prole con
esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale di essa. Valuta
prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati ad entrambi i genitori
oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le
modalità della loro permanenza presso ciascuno genitore, fissando altresì il modo
con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione
ed all'educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all'interesse dei figli,
degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo
alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni
di maggior interesse per i figli relativi all'istruzione, l'educazione ed alla
salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità,
dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la
decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di
ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la
potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti
ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un
assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da
determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita
goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di
permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun
genitore." Ciò che, sin da una prima rapida lettura, emerge, con estrema evidenza, è
il cambiamento della prospettiva dalla quale prende le mosse la riforma.
Assolutamente adeguata e pertinente si pone, in tal senso, la suggestiva ed
eloquente immagine che raffigura il minore come "il sole attorno al quale ruota
tutto il sistema solare della famiglia e cioè i due genitori"ed oggi gli ascendenti
e parenti. Or, pur non potendosi dubitare della portata innovatrice della norma,
occorre sottolineare come la necessità di adeguarsi ai profondi mutamenti sociali,
oltre del più ampio panorama normativo comunitario ed internazionale non possano
certamente trovare in un'accattivante formula ( condivisione della genitorialità )
la loro panacea. Il limite, peraltro, si evidenzia ancor più se solo si consideri
che tra le ambite finalità della novella si rinverrebbe anche quella di porre
rimedio alle dolorose disfunzioni di carattere psicopatologico osservate su minori,
figli di genitori che vivono dolorose e conflittuali separazioni: sindrome di
alienazione parentale, complesso di Medea, o disturbo di allineamento del minore con
un genitore . Nel nuovo impianto normativo, l'affidamento condiviso diventa la
regola generale: la separazione dei coniugi, il venir meno della convivenza e la
lacerazione della famiglia non possono comportare il venir meno del rapporto
parentale, preservando inalterato in capo al minore l'ineludibile diritto a
mantenere un rapporto continuato e continuativo non solo con ciascuno dei genitori,
ma altresì degli ascendenti e parenti di ciascuno. Principio quest'ultimo che più
appare concretamente innovativo, introducendo a chiare lettere il diritto - sancito
e tutelato giuridicamente - in capo a tutti i legami familiari "ascendenti e parenti
di ciascun ramo genitoriale" di mantenere significative relazioni affettive con il
minore. Tuttavia, in concreto, si comprende - e la prassi applicativa ne dà conferma
- come al concetto di affido condiviso non consegua o comunque non necessariamente
consegua un'equa o paritaria distribuzione dei tempi di permanenza del minore con
ciascuno dei genitori che, nell'impatto dirompente della legge, ha ingenerato - tra
i non addetti ai lavori - confusione tra affido condiviso, congiunto e alternato. Le
maggiori preoccupazioni dei genitori "affidatari esclusivi", in esito
all'introduzione della riforma, convergevano sul timore che il figlio potesse essere
sottoposto alla mercè di un continuo ping pong tra un genitore e l'altro, perdendo
punti di riferimento logistico, fonte di sicurezza e stabilità in un momento già
particolarmente delicato quale quello conseguente alla disgregazione e
destrutturazione del proprio modello familiare: il timore di un aggravamento degli
oneri organizzativi, il terrore di far vivere al figlio la sindrome del "vagabondo",
con una valigia sempre pronta per trascorrere periodi di permanenza più o meno
lunghi dall'uno o dall'altro dei genitori (a giorni alterni o per settimane o mesi),
con gravi comprensibili problematiche. I genitori affidatari hanno messo in luce -
mi sento di affermare ottimisticamente - il reale interesse dei minori e con ciò
mitigandosi la communis opinio che ha, non sempre a torto, raffigurato il genitore
"monoaffidatario" come colui che illegittimamente, si ergeva ad unico arbitro delle
sorti del figlio, sovente utilizzandolo come munus, o strumento ritorsivo del quale
avvalersi per "vendicare"personali rancori nei confronti dell'altro genitore. Nei
lavori parlamentari, tuttavia, il dubbio viene dipanato, laddove il relatore Paniz
precisa "Il testo in esame non tende ad una ripartizione dei tempi analitica dei
tempi di permanenza del minore con i genitori: nel testo unificato, affidamento ad
entrambi i genitori non significa 50% del tempo del figlio con ciascun genitore, né
50% delle competenze, né ping pong tra due case, ma conservazione di una effettiva
responsabilità genitoriale per entrambi i genitori, con modalità di esercizio della
potestà da stabilire caso per caso." 3. Concreto contenuto dell'affidamento
condiviso: alcune questioni processuali La ratio della legge - pur nell'ampiezza
della formulazione che, purtroppo, come sopra paventato, si presta a reali dubbi
interpretativi - ha messo in evidenza come, in realtà, il reale contenuto
dell'affidamento condiviso si concretizzi, di fatto, unicamente nell'esercizio
congiunto della potestà genitoriale, ossia nella necessità che entrambi i genitori,
seppur non più coabitanti, e pur nel cessare del rapporto di coniugio, continuino a
"gestire" il ruolo genitoriale, seguendo la vita della prole a tutti i livelli
(ordinari e straordinari) di scelte e decisioni e ciò a prescindere dall'entità dei
tempi di permanenza di ciascuno di essi con la prole. Di ciò ne costituiscono
conferma i primi provvedimenti resi dai nostri Tribunali (ed in particolare, dalla
1° Sezione Civile del Tribunale di Catania) laddove - a meno che le parti (ed i casi
sono davvero rari ed isolati) non siano in grado di predisporre un elaborato
progetto di affido condiviso che, nel contemperamento delle r eciproche esigenze
professionali e dei concreti fabbisogni della prole, riesca a prevedere calendari di
incontri equilibrati e paritari - nel perdurare del contrasto, il Decidente, il più
delle volte, nelle ipotesi di giudizi di modifica delle condizioni di separazione o
divorzio, conferma la regolamentazione del provvedimento sottoposto a censura,
ovvero, dispone uno schema generalizzato che non si discosta in misura significativa
dalle statuizioni antecedenti alla riforma se non per una maggiore elasticità dello
stile (es. due pomeriggi infrasettimanali, in luogo di uno solo, e fine settimana
alternati con pernottamento). Ciò premesso e posto per certo che, nel tessuto
normativo, l'affidamento generalizzato è quello condiviso, relegandosi l'affidamento
esclusivo alla residuale ipotesi di contrarietà all'interesse del minore, si tratta
di verificare come possa concretamente realizzarsi l'ardito programma della legge
laddove la maggior parte delle separazioni sono caratterizzate da una profonda ed
inestricabile conflittualità (che non costituisce ragione ostativa), ossia come
possano concretamente coniugi, intrisi da reciproche ostilità, essere in grado di
"gestire civilmente il disaccordo e affrontare in modo culturalmente diverso
rispetto a quanto avviene in attualità la loro ragione di conflittualità" ? La
risposta è arrivata con i riflessi delle prime concrete sperimentazioni che hanno -
più di tutte - confermato il quasi assoluto immobilismo rispetto alla situazione
registrata in epoca antecedente alla riforma. E ciò poiché, dinanzi alla maggior
parte delle ipotesi nelle quali i coniugi non siano in grado di predisporre o
prospettare un accordo programmatico, né un progetto articolato di affido condiviso
dei minori, i provvedimenti giudiziali prevedono esplicitamente che la potestà
ordinaria venga esercitata disgiuntamente in ragione dei tempi di permanenza del
minore con ciascuno, con ciò evitando o quanto meno limitando i rischi concreti
dinanzi al persistere della conflittualità coniugale. Invero, sin dalle prime
applicazioni della novella si è voluto scongiurare l'intuitivo rischio di un
vorticoso insorgere di contenzioso per qualsivoglia iniziativa ( anche pertinente
l'ordinaria amministrazione ) che un coniuge volesse assumere, senza riuscire ad
ottenere il consenso dell'altro. , Di tal chè, similmente a come accadeva nel
passato ed in ossequio a quanto espressamente previsto dal 3° c., art.155 c.c.,
ciascuno dei genitori continua ad esercitare liberamente il proprio ruolo
genitoriale ogni qualvolta tiene presso di sé il minore, così come in ordine a tutte
le decisioni di maggior interesse afferenti scelte di carattere educativo,
scolastico, medico-sanitario, che oltrepassino l'ordinaria amministrazione, vige il
principio - improntato all'equilibrato buonsenso prima ancora che imposto da dictat
normativi - secondo il quale le stesse continuano a dover essere prese, di comune
accordo, tra i genitori nel precipuo ed ineludibile rispetto degli interessi della
prole. Resta salva in forza dell'art.155 c.c., 3° co., la facoltà di rimettere al
giudice le controversie in merito alle decisioni di maggior interesse per i figli
relative all'istruzione, l'educazione ed alla salute che i genitori non siano in
grado di assumere di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli. Tale disposto consente di operare un breve
richiamo alla particolare procedura di cui all'art..709 ter c.p.c. a tenore del
quale "Per le controversie insorte tra i genitori in ordine all'esercizio della
potestà genitoriale o delle modalità di affidamento è competente il giudice del
procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all'art.710 c.p.c. è competente il
tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso il giudice
convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni." Senza entrare nel merito
dell'analisi delle singole tipologie di intervento annoverate nel successivo comma
dell'articolo appena richiamato, la laconicità del contenuto di quest'ultimo, induce
una riflessione a se stante sotto un profilo squisitamente tecnico giuridico per la
difficoltà di inquadrare la tipologia del procedimento introdotto e, per l'effetto,
la natura del suo provvedimento conclusivo, la cui impugnabilità viene rimessa - ai
sensi dell'ult.co. del medesimo art.709 ter c. p.c.- ai "modi ordinari". Or,
limitandosi all'ipotesi di procedimento (di separazione o divorzio) pendente,
nell'indicarsi quale competente "il giudice del procedimento in corso" sembrerebbe
riferirsi al giudice istruttore. In tal modo, sembrerebbe introdursi la
legittimazione del g.i., nell'ambito di un procedimento di competenza del collegio (
art.50 bis c.p.c. ) ad emettere veri e propri provvedimenti di condanna
tendenzialmente definitivi. Pertanto, se a siffatti provvedimenti volesse ricondursi
valore di "sentenze" parziali, il mezzo di impugnazione ordinaria al quale ricorrere
sarebbe l'appello immediato o la riserva di appello. Tuttavia, non appare
condivisibile conferire al g.i. il titolo ad emettere sentenze in una causa
collegiale. Siffatta ipotesi, peraltro, renderebbe del tutto incongruente
l'interpretazione sistematica delle disposizioni sopra richiamate che,
singolarmente, attribuirebbero al giudice monocratico il titolo ad emettere sentenze
se la domanda è proposta pendente iudicio ed, invece, al tribunale collegiale in
funzione camerale ex art.710 c.p.c., negli altri casi. Se, come appare preferibile,
a siffatti provvedimenti va ricondotta natura di ordinanza del giudice istruttore,
similmente a quella di natura provvisoria resa, ad esempio, in corso di causa, in
esito alle richieste - sovente anche numerose - di modifica dell'ordinanza
presidenziale ex art.708 c.p.c. si pone l'annoso dilemma della reclamabilità o meno
degli stessi. In proposito, da un lato, l'entrata in vigore della L.80/05 ( riforma
del codice di procedura civile ) ed il suo silenzio in merito, aveva fatto
concludere per la perdurante inammissibilità di siffatto mezzo di gravame,
dall'altro, si è viceversa ritenuto che la nuova disciplina in materia di
procedimenti cautelari e l'attenuazione del principio di strumentalità di siffatto
giudizio rispetto a quello di merito ( ragione ostativa all'applicazione analogica
della norma nei provvedimenti de quibus ) porterebbe ad un'implicita affermazione
della loro reclamabilità. Tuttavia, condividendo in tal senso, le argomentazioni di
parte della giurisprudenza di merito , "affannosi" e frutto di forzature
ermeneutiche si palesano gli sforzi dottrinali diretti ad un'interpretazione
estensiva delle disposizioni vigenti al fine di sostenere la reclamabilità dei
provvedimenti emessi dal g.i., sia ai sensi dell'art.708, 2° co., c.p.c., sia ai
sensi dell'art.669 terdecies c.p.c. Sotto il primo profilo, non vi è dubbio che
l'art.708 c.p.c. delinei indefettibilmente un mezzo di impugnazione tipico ed
eccezionale che, peraltro, si innesta perfettamente nel nuovo assetto bifasico ( con
una netta demarcazione tra fase presidenziale e fase contenziosa ) del procedimento
di separazione, così come delineato dalle recenti riforme . Esso, nella sostanza e
nella forma, integra un vero e proprio reclamo camerale ex art.739 c.p.c. rispetto
al quale, tuttavia, per la sua specificità e peculiarità non può ipotizzarsi né
un'interpretazione estensiva dei provvedimenti che ne possano costituire l'oggetto,
né un'applicazione analogica delle norme sul reclamo cautelare. Peraltro, a
suffragio di tale tesi, appare coerente e lineare l'inquadramento di tali
provvedimenti - tanto emessi in sede presidenziale che in sede contenziosa - non
quali provvedimenti di natura cautelare, bensì di carattere interinale e sommaria,
non sempre anticipatori della statuizione definitiva. Gli stessi, infatti, hanno
quale precipua finalità quella di ovviare ed, in qualche modo, dirimere le necessità
del momento - plausibilmente sovvertibile in esito alla compiuta istruttoria del
giudizio o al verificarsi di fatti che ne giustifichino un'eventuale modifica o
riassestamento - e la cui urgenza è sovente in re ipsa. Ed invero, trattasi di
"urgenza" insita all'estrema delicatezza ed alla stessa natura delle questioni da
dirimere che possono essere quelle in tema di affidamento, piuttosto che la
decisione dell'iscrizione di un minore in un istituto scolastico piuttosto che in un
altro, o ancora la decisione di condurlo in una gita all'estero o la scelta di una
visita medico specialistica o un intervento chirurgico,etc.. Pertanto, dovendosi
escludere la reclamabilità di siffatti provvedimenti tanto ai sensi dell'art.669
terdecies c.p.c., tanto ai sensi dell'art.739 c.p.c. trattandosi di provvedimenti
emessi in sede contenziosa e non camerale, non è nemmeno prefigurabile il rimedio
del reclamo al collegio ai sensi dell'art.178 c.p.c. essendo tale mezzo previsto
esclusivamente avverso le ordinanze che dichiarano l'estinzione del processo.
Resterebbe, pertanto, la facoltà - che, alla luce della disamina della norma, appare
l'unica via correttamente percorribile - della parte "soccombente" di richiedere
allo stesso g,i. la modifica del provvedimento nel caso in cui fosse necessario un
riesame della documentazione e della fattispecie sottoposta al vaglio, ovvero ove vi
fossero circostanze nuove o sopravvenute o che ne rendessero evidente
l'inadeguatezza e la necessità di una revoca e/o modifica, ovvero, infine,
sottoporre al collegio il sede di decisione ogni questione già decisa dal Giudice
Istru ttore. Tuttavia, dinanzi alla coerenza sistematica di simili conclusioni,
sotto un profilo squisitamente tecnico processuale, è d'uopo mettere in rilievo come
proprio la stessa natura e delicatezza degli interessi sottoposti al vaglio del
"giudice del procedimento" chiamato a decidere su "controversie in ordine
all'esercizio della potestà genitoriale o delle modalità di affidamento", mal si
concilia con le necessarie esigenze di garanzia e tutela di applicazione degli
stessi che verrebbero ex se fortemente vanificati, dinanzi alla mancata previsione
di un concreto ed immediato gravame idoneo a consentirne un celere riesame. In tal
senso, volendo in qualche modo forzare la lettura del testo normativo, nulla
lascerebbe escludere che con l'indicazione "giudice del procedimento" si sia inteso
riferirsi al Tribunale in funzione collegiale, al quale è demandata la decisione
finale dei procedimenti di separazione e divorzio (art.50 bis c.p.c.). A simili
provvedimenti, pertanto, potrebbe attribuirsi funzione decisoria, sia pur con natura
meramente interinale, e, per l'effetto, potrebbe considerarsi ammissibile, per la
necessaria natura urgente, assimilabile a quella precipuamente dei provvedimenti di
carattere cautelare - pur con le peculiarità sopra esposta - prevedere avverso gli
stessi il rimedio del reclamo ai sensi dell'art.669 terdecies c.p.c.. Diversamente,
potrebbe assimilarsi - anche qui non senza rischiare forzature interpretative - il
procedimento introdotto ai sensi dell'art.709 ter c.p.c pendente iudicio (di
separazione o divorzio) ad una peculiare procedura da introdursi con ricorso al com
petente Tribunale in funzione collegiale che verrebbe a definirsi con ordinanza
camerale reclamabile ai sensi e per gli effetti dell'art.739 c.p.c. Tuttavia, non
deve trascurarsi il rischio che la legittimazione di siffatta possibilità
comporterebbe un'eccessiva parcellizzazione del giudizio con la conseguenza dello
svuotamento dei poteri e delle facoltà del g.i. che, viceversa, lo spirito della
riforma sembrerebbe proprio tendere a valorizzare. E' di tutta evidenza, pertanto,
che il legislatore, avvalendosi di riferimenti vaghi ed essenziali (il giudice del
procedimento, mezzi di impugnazione ordinari) abbia perso l'opportunità di delineare
i confini di una peculiare procedura che, viceversa, avrebbe dovuto e potuto,
annoverare con dovizia di particolari. In particolare, ha omesso di specificare gli
strumenti (ad esempio chiarendo che per giudice del procedimento si intende il
giudice istruttore e specificare il relativo mezzo di impugnazione magari prevedendo
una peculiare forma di reclamo al collegio) ai quali ricorrere in controversie di
tal fatta, lasciando alle incertezze applicative ed alla prassi giurisprudenziale,
l'arduo compito di fornire adeguati orientamenti che, a parere della scrivente,
tardano a farsi avanti con quella necessaria stabilità che, viceversa, la tematica
de qua declama a gran voce. 4. Affidamento condiviso e risvolti economici: 4° co.,
art.155 c.p.c. Altro aspetto meritevole di ulteriori riflessioni è quello afferente
la definizione degli aspetti economici e del mantenimento dei figli in conseguenza
dell'introduzione del regime di affido condiviso. Richiamando il sopra richiamato
art.155 c.p.c. al suo 4° co. è dato leggersi "Salvo accordi diversi liberamente
sottoscritti dalle parti ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in
misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di
proporzionalità,.". Come è noto, la prassi unitaria che si era radicata sulla
prescrizione dell'art.155 c.c. introdotto dalla riforma del diritto di famiglia del
1975 - a tenore del quale "il giudice stabilisce la misura ed il modo con cui
l'altro genitore deve contribuire al mantenimento, alla cura, dell'istruzione ed
all'educazione dei figli." - si concretava nell'attribuzione del genitore
affidatario di un assegno mensile che veniva posto a carico dell'altro genitore a
titolo di contributo per il mantenimento della prole. La continuità che sembra
leggersi nel secondo comma dell'art.155 nuova formulazione, sembra poi essere in
qualche modo interrotta dal suo quarto comma, dalla cui lettura è dato prima facie
evincersi l'introduzione preferenziale e generalizzata di una forma diretta di
contribuzione ai fabbisogni della prole, senza prescindere dall'ineludibile
principio di proporzionalità ancorato alle reciproche situazioni economico
patrimoniali, privilegiando l'accordo delle parti all'indi viduazione dei relativi
capitoli di spesa, in linea alla ratio della riforma che mira ad attuare un pieno ed
equilibrato esercizio delle "funzioni potestative" in uno ad una maggiore se non del
tutto paritetica presenza nella dei figli di entrambe le immagini affettive
genitoriali di riferimento Unico dato incontrovertibile pare essere
l'insindacabilità degli accordi interni liberamente convenuti tra le parti in ordine
alla distribuzione dell'obbligazione solidale del mantenimento dei figli, senza che
ciò possa tuttavia in alcun modo condizionare l'esistenza del credito e la relativa
determinazione secondo gli ordinari criteri di proporzionalità in ossequio ai
principi sanciti dal combinato disposto degli articoli 155 c.c., art.30 Cost.,
artt.147 e 148 c.c. Questione, viceversa, maggiormente dibattuta è stata, ed è,
quella che consegue alla disposizione che così recita "il giudice, ove necessario,
stabilisce la corresponsione di un assegno periodico". Il tenore della norma ha
fatto, nelle prime applicazioni, emergere il dubbio del ribaltamento dell'onere
contributivo indiretto quale misura eccezionale e residuale. La regola, viceversa,
appariva essere, in linea alla ratio dell'affido condiviso e del modello dell'equa
spartizione di tutte le responsabilità connesse, la contribuzione diretta: ossia
ciascun genitore, anche in ragione dei tempi di permanenza e nel contemperamento dei
parametri indicati dalla norma, si assume direttamente parte degli oneri relativi al
mantenimento della prole, mediante l'attribuzione o il pagamento diretto di un bene
o di un servizio. Ebbene, anche in tal caso, la poca chiarezza della norma, -
nell'incertezza della concreta realizzazione di siffatta tipologia di contribuzione
- ha lasciato pericolosamente aperta la via all'interpretazione dottrinale e
giurisprudenziale, con evidenti ricadute di ordine pratico che non hanno tardato a
farsi strada. Ed invero, dinanzi alla dilagante incapacità dei coniugi di
predisporre un progetto articolato e dettagliato, nelle prime ipotesi applicative (
con particolare riferimento alla giurisprudenza di merito della 1° sezione Civile
del Tribunale di Catania ) fissata una quota ideale mensile per il mantenimento
della prole commisurata alle esigenze della stessa, e tenuto conto delle capacità
economiche dei coniugi onerati e del tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio, si è proceduto ad una ripartizione, anche in ragione dei tempi di
permanenza del coniuge non collocatario, della misura di contribuzione diretta (
individuata da una frazione della complessiva quota mensile ), indicandosi,
prevalentemente, quali voci o capitoli di spesa quelle genericamente riferite a beni
"essenziali" (cibo, vestiario) occorrendi ai minori. E' di palmare evidenza che la
necessità di stabilire in termini di equivalente economico la contribuzione diretta,
incardinandola in un'obbligazione determinata o quanto meno determinabile,
unitamente all'opportunità di individuare i relativi comparti di spesa, è
strettamente connessa alle esigenze di tutela nell'ipotesi di inadempimento che,
tuttavia, non resta indenne dai persistenti contrasti nell'ascrivibilità o meno di
quella spesa all'alveo della contribuzione diretta, nonché alla prova dell'effettiva
realizzazione della stessa. In tal senso, è intuitivo prefigurare una insulsa guerra
di scontrini, ad es. afferenti spese alimentari assai difficilmente imputabili, con
ragionevole grado di certezza, all'assolvimento delle esigenze del minore, piuttosto
che a quelle personali o del nuovo nucleo familiare del genitore onerato . Il
contenzioso immediatamente insorto dinanzi a tali prime prassi ha fatto emergere, da
un lato, oltre che l'incertezza dell'iniziativa giudiziaria più adeguata o corretta
da intraprendere (un giudizio ordinario, denunzia penale, decreto ingiuntivo,
sequestro ex art.156, 6°co, c.c.) l'ineffettività di qualsivoglia strada diretta ad
ottenere il pagamento di tale forma di contribuzione, dall'altro, l'inesorabile
constatazione del fallimento della nobile ratio sottesa alla riforma. Su tale
fronte, i primi interventi della giurisprudenza, sopperendo alle lacune letterali
della norma, non hanno tardato a rinvenire validi correttivi. Da un lato, con
qualche pronuncia dei giudici di merito è stato applicato l'art.709 ter c.p.c. alle
fattispecie di violazione degli obblighi di natura patrimoniale, compiendo una
forzatura interpretativa del suo secondo comma che, nel definire le soluzioni della
controversie insorte tra i genitori per le quali è competente il giudice del
procedimento in corso, aggiunge a quelle afferenti l'esercizio della potestà
genitoriale o delle modalità di affidamento, il compimento di gravi inadempienze o
di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore. Tuttavia, il più invalidante
limite di tale provvedimento si rinviene proprio nel suo dispositivo e nelle
conseguenze attribuite a siffatto comportamento: nell'ammonire il genitore
inadempiente, gli si infligge una sanzione amministrativa da versare alla Cassa
delle ammende, riservando all'esito della prova della persistenza inottemperanza e
dei conseguenti eventuali danni, l'eventuale condanna al risarcimento patrimoniale.
E' di t utta evidenza come simile decisione non possa seriamente ritenersi
garantista delle esigenze di effettività dei diritti del minore che una multa da
versare alla Cassa delle Ammende non tutela in alcun modo, né, d'altronde, è dato
rinvenirsi dalla lettera della norma il presupposto per accertare l'inadempimento
della contribuzione diretta del coniuge onerato (il passaggio in giudicato di una
sentenza di condanna, imponendo l'instaurazione di un giudizio ordinario, o una
pronuncia penale, .) e la condizione per qualificare come grave l'inadempienza del
coniuge: è sufficiente la mancata corresponsione di una sola mensilità di
"contribuzione diretta", o deve raggiungersi un certo ammontare, ammesso che sia
agevole provarne l'omissione.? In tal senso, appare utile sottolineare come il testo
del disegno di legge risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione
Giustizia l'8/02/05, prevedeva all'articolo 155 quater c.c. che, in caso di
inadempienza - e non già grave inadempienza - rispetto agli obblighi di mantenimento
diretto, il Giudice disponesse, relativamente al genitore inadempiente, la loro
sostituzione tramite corrispondente assegno da versare all'altro genitore.
Purtroppo, tale disposizione, nel testo definitivo, non viene riproposta, perdendosi
l'opportunità di una previsione certa che, tuttavia, potrebbe, in qualche modo,
ricondursi a quanto sancito dall'art.155 ter c.c., ove, avvalendosi del potere
discrezionale conferito in tal senso al Giudice, si prevede espressamente in capo ad
entrambi i genitori "il diritto di chiedere, in ogni tempo, la revisione delle
disposizioni concernenti.la misura e le modalità del contributo". Dall'altro lato, a
soccorso dell'incerto incedere su tali tematiche, è intervenuta una recente
pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (n.18187/06) che, per la completezza
dell'iter logico argomentativo di cui si avvale, nonché mercè la capillare
divulgazione sulle reti di comunicazione ragionevolmente ascrivibile alla notorietà
delle parti in lite (coniugi Carrisi - Power) ha avuto il merito di dirimere i
termini della questione, pur prendendo le mosse dalla diversa fattispecie
dell'affido congiunto alla quale ha affiancato con un parallelismo precursore
(essendo la legge pubblicata in epoca successiva all'impugnata decisione) quella
dell'affido condiviso. In un passaggio significativo, è dato leggersi "In proposito,
è da rilevare, come anche la recente legge 54/06, .introduca il principio della
bigenitorialità, con ciò ovviamente privilegiando l'interesse esistenziale del
minore e, prescindendo, in particolare, sia dal rapporto patrimoniale tra i due ex
coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore, autonomamente
disciplinati dal quarto comma, di detto art.155 c.c., in cui è previsto che ciascuno
dei genitori, provvede direttamente al mantenimento dei figli, in misura
proporzionale al proprio reddito e che "il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di
proporzionalità" sulla base di parametri tra cui "le risorse economiche di entrambi
i genitori". La linea ermeneutica seguita dalla Suprema Corte, pertanto, ha
eliminato i dubbi sopra paventati dal tenore letterale dei principi sopra
analizzati. Invero, diversamente da come emergeva prima facie, la L.54/06 - pare
potersi pacificamente affermare - non ha affatto introdotto come privilegiata e
prevalente modalità di contribuzione il mantenimento diretto, bensì ha previsto e
mantenuto inalterato l'obbligo della corresponsione di un assegno indiretto che il
genitore non convivente - tenuto conto dei parametri di riferimento ed in ossequio
al principio di proporzionalità - deve continuare a corrispondere al genitore
coaffidatario e collocatario della prole. Fortunatamente, le conclusioni di tale
pronuncia - assai verosimilmente dietro le spinte del rovinoso ricorso ed insuccesso
delle più svariate iniziative giudiziarie a tutela degli interessi anche
patrimoniali dei minori - sono state recepite dalle successive statuizioni dei
giudici di merito che hanno finito per allinearsi a tale nuovo orientamento,
assestando l'iniziale rotta verso un revirement alla situazione ante riforma,
individuando come prevalente ed ineludibile forma di contribuzione alle esigenze
della prole quella indiretta, lasciando anche su tale fronte pressocchè inalterata
la disciplina giuridica preesistente. La disamina sopra effettuata, pertanto, -
senza alcuna pretesa di esaustività - si ritiene confermi le riflessioni tutt'ora
aperte e ferventi, riproponendo i dubbi espressi in premessa circa l'effettiva
carica innovativa di una riforma che, a distanza di quasi due anni dalla sua
applicazione, accanto all'apertura al varco di numerose incertezze interpretative,
anche e - oserei affermare - pericolosamente sul fronte tecnico giuridico, fa più
che mai reiterare l'interrogativo "letterario" che suona un po' come un'anatema o
forse l'amara consapevolezza della realtà di tutti i tempi: è proprio vero che
"Tutto cambia per restare come prima"?!
Marina Florio Avvocato del Foro di Catania
marina.florio@fastwebnet.it
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