Se lo stato di salute pregiudica la capacità lavorativa si può revocare l'assegno

Ancora una volta la Cassazione torna a occuparsi dell'assegno di mantenimento.

Questa volta per chiarire che uno stato di salute talmente precario da compromettere la capacità lavorativa di un padre può legittimare la revoca dell'assegno di mantenimento persino in favore dei figli minorenni.

Nel caso preso in esame dai giudici di piazza Cavour il Tribunale di Viterbo,  in un giudizio di separazione, aveva fissato in 400,00 euro, l'obbligo di mantenimento dei due figli minorenni (oltre al 50% per le spese di carattere straordinario) a carico dell'ex marito.

L'uomo ricorreva in appello chiedendo la revoca dell'assegno, sostenendo di essere disoccupato, privo di qualsiasi reddito e in condizioni di salute tali da compromettere gravemente la sua capacità lavorativa.

La Corte d'Appello di Roma rigettava il ricorso considerando "inattendibili" le deduzioni dell'appellante.

Di diverso avviso la Cassazione che con ordinanza n. 20145 del 24 settembre 2014, ha considerato "apodittica" la motivazione con cui il giudice di merito, il quale aveva ritenuto di escludere l'incidenza delle condizioni di salute sulla capacità lavorativa, considerata la giovane età dell'uomo e l'assenza, nella documentazione prodotta, di invalidità fisiche incompatibili con qualsiasi impiego.

Per la S.C., invece, l'incidenza delle condizioni di salute sulla capacità lavorativa va approfondita, sulla base della documentazione prodotta, valutando anche l'opportunità di una consulenza medico-legale.

Né possono valere ad escludere la necessità di una più compiuta disamina sullo stato di salute del ricorrente (e, dunque, sull'eventuale inidoneità al lavoro), le lamentele dell'ex moglie in ordine alle volontarie dimissioni dello stesso dal suo precedente impiego (dipendente Rai) per dedicarsi solamente a lavori saltuari come venditore ambulante nei mercati domenicali.

Il caso dovrà essere ora nuovamente esaminato dalla Corte d'Appello di Roma. 

Testo ordinanza Corte di Cassazione 24 settembre 2014, n. 20145

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