Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i disturbi della personalità possono rientrare tra le infermità mentali, purché siano tali da incidere gravemente e concretamente sulla capacità di intendere e di volere dell'agente, e a condizione che esista un nesso causale con il reato commesso.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione (I sezione penale) nella sentenza n. 37573 depositata il 12 settembre 2014, in una vicenda riguardante l'omicidio di un gallerista d'arte commesso da un soggetto affetto da personalità borderline, il quale dopo essersi impossessato delle opere esposte in galleria e averle vendute per trarne profitto, messo alle strette dal proprietario, lo uccideva tagliando il cadavere a pezzi e facendo sparire ogni traccia.

Per la gravità e la ferocia della condotta, confessata dallo stesso imputato che aveva collaborato nel ritrovamento dei resti del corpo, la Corte d'Assise d'Appello confermava il giudizio di primo grado e rigettava la richiesta di attenuanti generiche.

L'uomo ricorreva, quindi, in Cassazione, chiedendo il riconoscimento della non imputabilità o della diminuita capacità d'intendere e di volere, o in subordine della prevalenza o quanto meno dell'equivalenza, delle circostanze attenuanti generiche con le circostanze aggravanti ritenute sussistenti. 

Ma, per i giudici di piazza Cavour, la lucidità dell'imputato nella condotta perpetrata e il movente di natura prettamente economica non lasciano adito a dubbi sulla responsabilità per l'omicidio.

Confermando le statuizioni di merito, la Corte ha infatti escluso che, nel caso di specie, il disturbo della personalità di cui era risultato affetto l'imputato avesse inciso concretamente sulla sua capacità di intendere e di volere e che l'omicidio fosse causalmente ricollegabile al predetto disturbo mentale.

Per rientrare, nel "ristretto novero delle malattie mentali", ha affermato, difatti, la S.C., i disturbi della personalità devono essere "di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente, e a condizione che sussista un nesso eziologico con la specifica condotta criminosa, per effetto del quale il fatto di reato sia ritenuto causalmente determinato dal disturbo mentale".

Ne consegue, ha concluso la Corte rigettando il ricorso, che "nessun rilievo, ai fini dell'imputabilità, deve essere dato ad altre anomalie caratteriali o alterazioni e disarmonie della personalità che non presentino i caratteri sopra indicati, nonché agli stati emotivi e passionali, salvo che questi ultimi non si inseriscano, eccezionalmente, in un quadro più ampio di infermità". 


Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: