di Roberto Chiatto di Prato, che ringrazio per il contributo (il testo dell'ordinanza della S.C., frutto della penna della Dott.ssa Magda Cristiano sotto la presidenza del Dott. Salvatore DI PALMA, segue in calce) - Sì alla contemporanea pendenza tra la causa di nullità del matrimonio ecclesiastico e il giudizio di divorzio. Il procedimento civile in corso impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica. Cassazione, ordinanza 18627 del 3.9.14

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Il petitum del giudizio di divorzio consiste nella richiesta di scioglimento del matrimonio con effetti ex nunc, mente lacausa petendi si ritrova nella ormai smarrita communio omnisvitae ed affectio coniugalis.
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Il petitum del giudizio di nullità (e della relativa delibazione)della sentenza canonica consiste nella pronuncia dichiarativaex tunc di riconoscimento della efficacia della sentenza
ecclesiastica che ha reso nullo il vincolo. La causa petendiinvece sta nella mancata esistenza degli elementi necessariper il valido perfezionamento del matrimonio (art. 8 Accordo).


CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA N. 18627 del 3 settembre 2014, Presidente Salvatore DI PALMA, Estensore Magda CRISTIANO

 
FATTO E DIRITTO

 

L'ordinanza in questione affronta due questioni fondamentali.

Il primo tema lo potremmo definire ormai assodato nella giurisprudenza di legittimità: il giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio concordatario e il giudizio civile di divorzio possono coesistere e svolgersi parallelamente, stante l'assenza di qualsivoglia rapporto di pregiudizialità.

Il secondo tema afferma la possibilità di domandare la nullità del matrimonio concordatario sia dinanzi al giudice italiano sia dinanzi al giudice ecclesiastico, stante la attuale giurisdizione alternativa.

Partendo dall'analisi della prima questione ricordata, il procedimento di nullità del matrimonio dinanzi al giudice ecclesiastico (così come il giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità) può correre parallelamente ad un giudiziocivile di divorzio. La possibile coesistenza e compresenza dei due giudizi è resa possibile dalla diversità oggettiva di petitum e causapetendi (non soggettivamente, essendo le parti le medesime in entrambi i giudizi).

Premessa l'autonomia strutturale dei due giudizi, la prima considerazione che emerge è quella della litispendenza e dellapregiudizialità. Come accennato, i due procedimenti possono dispiegarsi in perfetta indipendenza. Il giudizio ecclesiastico di nullità non preclude la contemporanea pendenza del giudizio di divorzio. È evidente tuttavia come nell'eventualità che sia prioritariamente deliberata la sentenza di nullità ecclesiastica, il giudizio di divorzio in corso deve arrestarsi per cessata materia del contendere. Invece, ottenuto il divorzio, persiste l'interesse all'eventuale sentenza ecclesiastica di nullità che, travolgendo il matrimonio, porrebbe nel nulla le statuizioni contenute della sentenza divorzile, con particolare riferimento alle questioni patrimoniali.

Proprio quest'ultima considerazione ci introduce la seconda questione, quella del giudicato implicito. Può accadere che, stabilita la validità del matrimonio implicita nel divorzio (il divorzio poggia infatti sulla validità dell'atto, perché si limita ad agire sul rapporto, sciogliendolo ex nunc), ci sia interesse per ilconiuge divorziato al conseguimento della travolgente sentenza dinullità.

Ora, se in linea di principio nessun ostacolo giuridico preclude la possibilità di spazzare via il vincolo matrimoniale e la sentenza di divorzio, stante la diversità di azioni (come detto), è difficile negare come il giudizio di delibazione della nullità ecclesiastica sia l'ancora di salvezza del coniuge divorziato che è obbligato a versare l'assegno di mantenimento all'ex coniuge. In tal modo, forse abusando di tale strumento, si cerca di vanificare le statuizioni del giudice civile e sottrarsi alla doverosa contribuzione (ex)coniugale.

Placando simili rischi, la Cassazione ha affermato che le statuizioni economiche del divorzio sulle quali si sia formato un giudicato ex artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c., sono inattaccabili anche dalla sentenza di delibazione della nullità ecclesiastica. In buona sostanza, l'impegno dello Stato italiano si esaurisce nel rendere efficaci nel territorio nazionale le sentenze ecclesiastiche, ma resta appannaggio del giudice civile nazionale la disciplina dei rapporti patrimoniali, cosicché la sentenza ecclesiastica di nullità non può incidere sul diritto dell'ex coniuge alla percezione dell'assegno divorzile stabilito dalla sentenza di divorzio.

La seconda questione esaminata nell'ordinanza afferma, come detto, la attualità della giurisdizione alternativa in tema di invalidità del matrimonio concordatario.

La necessità di una previa delibazione delle sentenze ecclesiastiche consente il parallelo svolgimento di due procedimenti. Può dunque verificarsi l'ipotesi che nel processo civile in corso, il coniuge convenuto per il divorzio chieda in via riconvenzionale la dichiarazione di nullità del matrimonio, giàriconosciuta dalla sentenza ecclesiastica tuttavia non ancora delibata. In tal caso si richiederebbe al giudice civile un accertamento incidenter tantum, domanda certamente possibile stante la attuale giurisdizione alternativa in materia di invalidità del matrimonio concordatario.

Nel caso di specie, il giudice di primo grado ha sospeso il procedimento civile per il principio di prevenzione dedotto dalcombinato degli artt. 7 e 64, lett. f) della L. 218/1995, secondo cui vale il momento in cui si instaura la lite: nel caso di specie, prevale la domanda di nullità del matrimonio dinanzi al Tribunale ecclesiastico.

La Cassazione invece segue tutt'altro percorso logico.

Si ricorda innanzitutto che gli artt. 796 e 797 c.p.c. sono stati abrogati formalmente dall'art. 73 della L. 218/1995 che ha previsto, ex art 64, l'automatico riconoscimento delle sentenze straniere. Tuttavia, riguardo alle sentenze (straniere) ecclesiastiche continua a richiedersi una previa delibazione ai fini della loro efficacia in territorio italiano. Questo per il rinvio sostanziale e materiale agli artt. 796 e 797 c.p.c. ad opera della L. 121/1985 (legge di esecuzione dell'Accordo del 1984), che è una legge speciale - non modificabile se non espressamente da una legge generale posteriore com'è la L. 218/1995 - nonché una convenzione internazionale - fatta salva dall'art 2 della stessa L. 218/1995.  

Premesso ciò, La S.C. applica bensì il principio di prevenzione, ma in base agli artt. 796 e 797 c.p.c., e in particolare ha ritenuto di applicare l'art 797 n. 6, c.p.c. laddove considera prevalente il giudizio civile in corso, stante la totale irrilevanza ed improduttività di effetti del pendente giudizio ecclesiastico non delibato. Quindi, fino a che il procedimento civile non sia terminato, è preclusa la delibazione della sentenza ecclesiastica, benché il relativo procedimento dinanzi al giudice ecclesiastico possa proseguire parallelamente. Ecco che l'assenza di una delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità consente al giudice civile di verificare anch'egli la fondatezza della domanda di nullità proposta incidenter tantum nel giudizio di divorzio.

Il giudice italiano invece non potrà pronunciarsi sulla nullità laddove la delibazione della sentenza ecclesiastica sia già passata in giudicato.


S.A. ha chiesto al Tribunale di Salerno di dichiarare la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con V.M.L.; quest'ultima, costituitasi in giudizio, ha chiesto in via riconvenzionale di dichiarare, con efficacia di giudicato, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., la nullità del matrimonio per grave difetto di discrezione e giudizio dello S., secondo quanto già accertato con sentenza di primo grado del Tribunale ecclesiastico.

Il giudice adito, con ordinanza del 28.5.2013, ha sospeso il giudizio in attesa della definizione di quello ecclesiastico, ritenuto pregiudiziale.

Ha rilevato a sostegno della decisione: che, a seguito della ratifica, con la L. n. 121 del 1985, dell'Accordo di revisione del Concordato lateranense stipulato il 18.2.1984, è stata abrogata la riserva di giurisdizione del Tribunale ecclesiastico sulle cause concernenti la nullità del matrimonio concordatario, con la conseguente possibilità che la causa penda contestualmente dinanzi al giudice ecclesiastico ed a quello ordinario; che, ammessa la giurisdizione concorrente, verificatasi nel caso in esame, il concorso va regolato secondo le disposizioni del diritto internazionale privato; che, ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 7 in comb. disp. con l'art. 64, lett. f), deve aversi riguardo al momento in cui si determina l'instaurazione della lite; che pertanto, essendo stata la domanda di nullità del matrimonio proposta anteriormente dinanzi al Tribunale ecclesiastico, l'intero processo deve essere sospeso in attesa che quello iniziato per primo venga definito con sentenza che, ove delibata, determinerebbe la cessazione della materia del contendere sulla domanda di divorzio.

S.A. ha impugnato il provvedimento ai sensi dell'art. 42 c.p.c., contestando che fra i due giudizi vi sia rapporto di pregiudizialità. A fondamento del ricorso ha dedotto: che in materia non può farsi applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 7 in comb.

disp. con l'art. 64, lett. f), ma agli artt. 796 e 797 c.p.c. tuttora vigenti in materia di delibazione delle sentenze ecclesiastiche, atteso che l'art. 8, n. 2 dell'accordo di revisione del patti lateranensi li ha recepiti attraverso un rinvio materiale e non formale; che pertanto, non essendo ancora stata delibata la sentenza ecclesiastica di nullità, il principio di prevenzione opera in favore della causa di divorzio; che il tribunale salernitano avrebbe comunque dovuto porsi il problema se il giudicato formatosi nel giudizio di nullità fosse idoneo ad esplicare efficacia preclusiva su quello di divorzio; che nella specie, poichè la sentenza ecclesiastica è contraria all'ordine pubblico, tale efficacia va esclusa.

V.M.L. ha depositato memoria difensiva con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Il P.G. ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Il ricorso è fondato.

Per effetto dell'art. 8 dell'Accordo di revisione del Concordato lateranense (firmato a Roma il 18 ottobre 1984 e reso esecutivo con la L. 25 marzo 1985, n. 121) deve ritenersi venuta meno la riserva di giurisdizione, a favore del Tribunale ecclesiastico, sulle cause di nullità dei matrimoni concordatari, già prevista dall'art. 34 del Concordato del 29: l'art. 13 dell'Accordo ha infatti disposto la revisione delle precedenti norme concordatarie non riprodotte nel proprio testo ed in quest'ultimo non v'è più al alcuna disposizione che contempli la riserva di giurisdizione. Col venir meno di tale riserva, che ha determinato il concorso della giurisdizione italiana e di quella ecclesiastica in materia, può dunque verificarsi l'ipotesi di contemporanea pendenza della causa di nullità del matrimonio dinanzi al giudice ecclesiastico ed a quello italiano.

Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale salernitano, nella specie la decisione sulla prevenzione non può essere assunta in base alla disciplina dettata dal comb. disp. della L. n. 218 del 1995, art. 7 e art. 64, lett. f) di riforma del diritto internazionale privato, atteso che l'art. 7 impone al giudice italiano di sospendere il processo "se ritiene che il provvedimento straniero possa avere efficacia nell'ordinamento italiano" e l'art. 64 elenca, per l'appunto le condizioni in presenza delle quali la sentenza straniera può avere riconoscimento (id est: efficacia) in Italia, senza che sia necessario il ricorso ad alcun procedimento:

l'una e l'altra disposizione non sono quindi applicabili alle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio, la cui efficacia nell'ordinamento della Repubblica è tuttora subordinata all'esito positivo del giudizio di delibazione previsto dagli artt. 796 e 797 c.p.c..

Infatti, come è stato ripetutamente affermato da questa Corte (e come è stato, peraltro, riconosciuto dagli stessi giudici salernitani), in subiecta materia non rileva che le norme sul giudizio di delibazione siano state abrogate dalla L. n. 218 del 1995, art. 73 cit., posto che l'abrogazione, in ragione della fonte di legge formale ordinaria che l'ha sancita, non è idonea a spiegare efficacia sulle disposizioni dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense, le quali - con riferimento alla dichiarazione di efficacia, nella Repubblica italiana, delle sentenze di nullità del matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici - contengono un espresso richiamo (materiale e non formale) agli artt. 796 e 797 c.p.c., e risultano connotate, in forza del principio concordatario accolto dall'art. 7 Cost. (che, in difetto di accordo fra le parti contraenti, consente la modificazione delle norme pattizie solo con legge costituzionale), da una vera e propria ultrattività (così, da ultimo, fra le tante, Cass. nn. 7946/013, 21968/011, 274/011, 24990/010, 10211/010).

Il recepimento materiale, nell'Accordo di modifica del Concordato, della disciplina dettata dagli artt. 796 e 797 c.p.c. comporta dunque che, nell'ambito regolato da tale Accordo, le predette disposizioni codicistiche continuino ad operare in tutta la loro ampiezza.

Resta dunque fermo il principio, già enunciato da Cass. n. 3345/97 e n. 12671/99 (ancorchè riferite a fattispecie anteriori all'entrata in vigore della L. n. 218 del 1995), secondo cui i rapporti fra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sono disciplinati sulla base di un principio di prevenzione in favore di quest'ultima:

l'art. 797 c.p.c., n. 6 stabilisce, infatti, che la pendenza di un giudizio civile impedisce la delibazione della sentenza ecclesiastica, mentre, fino a quando la sentenza ecclesiastica non sia stata delibata, il processo canonico resta un semplice fatto incapace di produrre effetti, e quindi di determinare una litispendenza, nell'ordinamento dello Stato.

Ne consegue che, in difetto di delibazione della sentenza ecclesiastica, spetterà al giudice italiano di valutare l'ammissibilità e la fondatezza della domanda di nullità del matrimonio avanzata in via incidentale dal coniuge convenuto per il divorzio.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, va disposta la prosecuzione del giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno, che provvederà anche sulle spese del presente regolamento.

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