La sentenza n. 13983 del 19 giugno 2014 della Cassazione segna un importante arresto in materia di mobbing familiare.

Puntualizzando le violazioni che possono dar luogo all'addebito della separazione e l'adempimento del rigoroso onere probatorio richiesto all'istante, in una vicenda riguardante il ricorso di una moglie che chiedeva l'addebito adducendo al marito comportamenti assimilabili al mobbing familiare, finalizzati ad indurla a lasciare la casa coniugale, la prima sezione della Corte di Cassazione ha colto l'occasione per precisare la nozione di mobbing e il suo contesto di applicazione, escludendone a priori la riconduzione nel rapporto familiare, improntato, a differenza del passato, al "principio di uguaglianza morale e giuridica" dei coniugi.

Secondo la Corte, infatti, la nozione di mobbing

, intesa come condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico "che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente" è idonea a fotografare quelle situazioni "patologiche" che si ravvisano in presenza di un dislivello tra antagonisti, dove la vittima cioè è in posizione "di costante inferiorità rispetto ad un'altra - e - ciò spiega perché è con riferimento ai rapporti di lavoro che quella nozione è stata elaborata ed ha avuto applicazione".

In materia familiare, invece, tale nozione può essere utile solo in campo sociologico, ma "in ambito giuridico assume un rilievo meramente descrittivo, in quanto non scalfisce il principio che l'addebito della separazione

richiede pur sempre la rigorosa prova sia del compimento da parte del coniuge di specifici atti consapevolmente contrari ai doveri del matrimonio - quelli tipici previsti dall'art. 143 c.c. e quelli posti a tutela della personalità individuale di ciascun coniuge in quanto singolo e membro della formazione sociale familiare ex artt. 2 e 29 Cost. - sia del nesso di causalità tra gli stessi atti e il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza o del grave pregiudizio per i figli".


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