Per configurare il reato di stalking è sufficiente che gli atti persecutori incidano sulla serenità e sull'equilibrio psicologico della vittima, non essendo necessario provare il disagio psichico e il perdurante stress con certificati medici, ricadendo l'accertamento di uno "stato patologico" nel diverso reato di lesioni. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione con la sentenza n. 20531 del 19 maggio 2014, considerando inammissibile il ricorso di un uomo avverso la conferma in appello della condanna a 8 mesi e 10 giorni di reclusione per il delitto di cui all'art. 612-bis c.p., per atti persecutori perpetrati ai danni dell'ex convivente e del suo nuovo compagno.

Le molestie, i pedinamenti e le minacce poste in essere dall'imputato costituiscono, per la Corte, attività persecutorie idonee a confermare il reato, avendo ingenerato un perdurante stato di ansia e paura nella vittima, il timore per la propria incolumità e per quella del nuovo compagno ed avendola indotta a mutare le proprie abitudini di vita. Ciò è sufficiente, secondo gli Ermellini, a considerare insostenibile la tesi difensiva dell'imputato circa la dimostrazione della natura del disagio psichico che renderebbe necessaria "l'emergenza di tracce cliniche di detto disagio". In particolare, richiamando la recente giurisprudenza in materia, la Suprema Corte penale ha chiarito come ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 612-bis c.p. "non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori, abbiano un effetto destabilizzante della serenità edell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612‐bis c.p. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni (art. 582 c.p.), il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica". 


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