Avv. Barbara Pirelli del Foro di Taranto
E-mail: barbara.pirelli@gmail.com

Che la cattiva gestione di un'impresa familiare, da parte di uno dei coniugi,  possa determinare una crisi di coppia?  E se si, né può discendere da questo una pronuncia di  addebito della separazione?

Sul punto la Cassazione non ha ancora consolidato un suo orientamento ma con un'ordinanza (la n. 612 del 14 gennaio 2014), di pochi giorni fa, ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

La vicenda di cui si dovrà occupare la Corte vede come protagonista una coppia di coniugi che presenta domanda di separazione davanti al Tribunale di Rovigo; entrambi i coniugi chiedevano l'addebito della separazione, il riconoscimento in loro favore di un assegno di mantenimento e l'assegnazione della casa familiare. Il Tribunale adito dichiarava la separazione ma rigettava entrambe le domande.

La donna proponeva appello e nell'atto difensivo sottolineava che il fallimento dell'unione familiare era stata determinata dalla cattiva gestione, da parte del marito, dell'azienda agricola comune; inoltre, accusava il marito di aver sottratto i relativi cespiti (cioè i beni strumentali dell'impresa).

La Corte d'Appello respingeva le doglianze della donna affermando che l'atteggiamento del marito andava considerato come il potere assoluto del "pater familias" nella gestione familiare. I giudici di secondo grado facevano, altresì, rilevare che la donna aveva accettato per anni quel tipo di atteggiamento, quindi, le cause del fallimento matrimoniale andavano ricondotte ad altri contrasti.

La donna, a questo punto, proponeva ricorso in Cassazione asserendo che nella gestione di un'attività comune, quale quella di un'impresa familiare, i coniugi devono collaborare ed avere una posizione paritaria nell'esercizio e nella gestione dell'impresa.

Dunque, insisteva sulla circostanza che la fine del matrimonio era addebitabile al marito perché, nonostante lei avesse partecipato con il proprio lavoro alla gestione dell'impresa, il marito aveva,comunque, preteso una gestione autonoma dell'azienda familiare, utilizzando a proprio favore i proventi e le risorse della stessa.

Quindi, era stato il marito con questo atteggiamento egoistico ad aver determinato prima l'intollerabilità della convivenza e dopo la rottura del matrimonio.

In questo caso specifico, la Suprema Corte, dovrà affrontare due tematiche: quella relativa alla conduzione dell'impresa familiare e quella relativa della addebitabilità della separazione per cattiva gestione dell'impresa da parte di uno dei due coniugi.

Non avendo rilevato la possibilità di decidere in camera di consiglio per manifesta fondatezza o infondatezza,  in mancanza di un precedente orientamento consolidato, la corte ha rimesso la causa alla pubblica udienza.

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