di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 130 dell'8 Gennaio 2014. Nel calcolare l'importo dell'assegno di mantenimento dovuto dal coniuge onerato nei confronti dell'altro in sede di separazione o divorzio, il giudice deve tener conto dell'intera situazione finanziaria dell'obbligato. Dunque, a maggior ragione, se l'obbligato è un imprenditore occorre parametrare l'importo anche relativamente alle riserve detenute dalla società di cui è socio o titolare.


Nel caso di specie, a fronte di pronunce sfavorevoli sia in primo che in secondo grado, l'imprenditore obbligato - al quale era stata addebitata la separazione per comprovata infedeltà, commessa in un momento precedente rispetto al deterioramento dei rapporti affettivi tra coniugi, tale per cui si era reso impossibile il proseguimento della vita matrimoniale - lo stesso aveva proposto ricorso in Cassazione contestando appunto le modalità attraverso le quali il giudice del merito era giunto alla definizione della somma dovuta alla controparte. Rigettando interamente le doglianze proposte, la Suprema Corte ricorda come sia principio consolidato nel nostro ordinamento la circostanza che "in tema di separazione tra coniugi

, al fine della quantificazione dell'assegno di mantenimento a favore del coniuge, al quale non sia addebitabile la separazione, il giudice di merito è tenuto a considerare tutte le risorse economiche dell'onerato (incluse le disponibilità monetarie e gli investimenti in titoli obbligazionari e azionari e in beni mobili), avuto riguardo a tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività e capacità di spesa". A maggior ragione se, come nel caso in oggetto, è accertato che le risorse proprie della moglie sono del tutto inadeguate a consentirle di mantenere il tenore di vita precedente. Corretto dunque inserire nella massa patrimoniale anche le riserve societarie, le quali, nonostante il calo subito negli ultimi anni considerati, rimanevano tuttavia di importo rilevante.


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