di Licia AlbertazziCorte di Cassazione Civile, sezione prima, sentenza n. 9484 del 18 Gennaio 2013. I casi di invalidità del matrimonio sono tassativamente previsti per legge. Essi sono elencati agli artt. 117 e seguenti del codice civile e generalmente riguardano sia la sfera sessuale (capacità a procreare) che quella personale di ciascuno dei coniugi (minore età, infermità di mente, rapporti di parentela). La presenza di una di queste circostanze legittima la relativa azione di annullamento promossa dalla parte interessata. Spesso queste problematiche si palesano in un momento successivo alla celebrazione delle nozze: esse possono essere scoperte solo dopo aver contratto matrimonio o, ancora, uno dei due coniugi, pur cosciente della sussistenza del problema, potrebbe averne taciuto all'altro, facendolo cadere in errore.

Nella sentenza in oggetto la Suprema Corte statuisce come il matrimonio civile può essere annullato nel caso in cui uno dei due coniugi non abbia comunicato all'altro la propria deviazione sessuale, la quale, manifestandosi anche in un momento successivo, renda impossibile lo svolgersi di un normale rapporto di coppia. Inoltre, ex art. 129bis cod. civ., spetta al coniuge in buona fede la corresponsione di un'indennità nonché un assegno periodico di mantenimento.

Per quanto riguarda i criteri probatori da applicare al caso di specie, la Corte sostiene come l'esame delle prove, le quali facciano emergere mala fede da una parte e buona fede dall'altra, può avvenire in sede autonoma seguendo le regole ordinarie del processo civile, senza tener per forza conto degli elementi di conoscenza emersi negli atti del giudizio ecclesiastico.


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