Cacciare di casa il coniuge è reato. Lo ricorda la quinta sezione penale della Cassazione che ha confermato una condanna inflitta precedentemente ad un 51enne di Palermo dalla Corte d'appello della capitale siciliana.

L'uomo in realtà è stato ritenuto responsabile di una serie di reati (dalla violenza privata, alle lesioni personali finanche al danneggiamento e alle ingiurie ai danni della moglie). Come ricostruiscono i giudici della Corte, nonostante al momento dell'atto la moglie volesse tornare a casa soltanto temporaneamente per trascorrere del tempo con il figlio (la donna già risiedeva dai propri genitori in attesa del verdetto definitivo del tribunale) l'ex marito non aveva voluto accettare quel rientro in casa e l'aveva messa alla porta.

Come se non bastasse aveva reagito alle proteste dell'ex moglie con un pugno al costato e una manata sul viso. L'uomo ha inoltre, durante il litigio, distrutto alcuni beni in comunione tra i due.

L'uomo aveva cercato di difendersi sostenendo che la sua ex non avesse alcun diritto di rientrare in casa dato che si era trasferita temporaneamente dai genitori e quindi la casa familiare era rimasta nel suo uso esclusivo. Di diverso avviso la suprema corte (sentenza n. 40383/2012) secondo cui la donna aveva invece diritto a entrare ed uscire dall'abitazione familiare quando voleva e il marito non aveva quindi alcun diritto di escluderla dalla casa coniugale.

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