La sentenza del tribunale di Torino scatena le reazioni dei filatelici e non solo
di Gabriella Lax - «Restituite i francobolli allo Stato, se la busta su cui sono incollati era indirizzata a un ente pubblico». Questo il monito di una sentenza del tribunale di Torino che ha scatenato il panico tra i collezionisti di francobolli. Collezionare i preziosi oggetti è contra legem

E' La Stampa a riportare la sentenza con la quale il giudice Roberto Arata ha condannato un commerciante di francobolli di Rivoli sequestrandogli l'intero stock che teneva in deposito, e commissionando ai carabinieri del nucleo tutela patrimonio culturale la selezione e la destinazione al legittimo proprietario, e cioè all'ufficio pubblico al quale era indirizzato in origine come si può leggere dalla busta. 

Il giudice ha deciso in base ad un decreto legislativo in vigore dal 2004 che stabilisce che tutti i documenti spediti a un ente pubblico dal 1840 (che sia lo Stato ma anche Regioni, enti territoriali, enti o istituti pubblici, persone giuridiche private senza fini di lucro, enti ecclesiastici compresi gli Stati ed enti dell'Italia preunitaria), sarebbero «beni culturali inalienabili» compreso, per il Tribunale, anche il francobollo che è servito a far arrivare a destinazione quel documento. 

Ai fini della decisione di Torino non è servita la soluzione dei dubbi interpretativi che il ministero dei Beni culturali riteneva di aver dato nell'ottobre 2013 con una circolare della Direzione generale per gli Archivi, che peraltro sottolinea alcuni elementi di buon senso: in primis, le semplici buste, quelle che portano francobollo e l'annullo, non possono essere considerati documenti meritevoli di tutela, a differenza del documento che contenevano; dunque non se ne può presumere «in via generale l'appartenenza al demanio pubblico». Ed ancora, può essere considerata la «demanialità intrinseca» soltanto per quei documenti che dovevano essere necessariamente conservati, tipo atti legislativi, provvedimenti giurisprudenziali, contratti; per tutti gli altri, prima di definirli «di necessaria appartenenza pubblica», occorre una prova che siano stati sottratti ad un archivio. 

Non ha voluto sentire ragioni il tribunale di Torino che ha sentenziato: tutti questi documenti appartenevano a un ente pubblico, perciò se sono sul mercato privato occorre una pezza d'appoggio, ossia il documento di «spoglio» che certifica il non-trafugamento. «L'esistenza delle procedure di "sdemanializzazione" non può, di per sé, essere invocata a decisiva giustificazione del possesso in capo ai privati - si legge su La Stampa - per effetto di una sorta di presunzione d'avvenuto scarto». Per cui, se il privato non è in grado di esibire la pezza d'appoggio, «deve concludersi che il documento è stato illecitamente sottratto».


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