Per la Cassazione non importa che non ci sia una stretta connessione con i servizi e le funzioni proprie del ministero sacerdotale

di Valeria Zeppilli - Il prete che si rende colpevole di reati sessuali, risponde in maniera aggravata dall'abuso di poteri o dalla violazione dei reati inerenti la sua qualità di ministro del culto cattolico.

Come precisato dalla sentenza numero 1949/2017, depositata dalla terza sezione penale della Corte di cassazione il 17 gennaio e qui sotto allegata, ciò vale sia quando il reato è commesso nella sfera delle funzioni e dei servizi propri del ministero sacerdotale, tipica e ristretta, sia quando la qualità sacerdotale ha solo facilitato il compimento del delitto.

Per i giudici, infatti, non è possibile limitare il ministero sacerdotale alle sole funzioni che sono strettamente connesse con la realtà della parrocchia: esso, infatti, ricomprende anche e più in generale tutti i compiti che possono essere ricondotti al mandato evangelico e le attività svolte a servizio della comunità.

Si pensi alle attività ricreative, a quelle di assistenza e di missione, a quelle di aiuto a fedeli e non.

Nel caso di specie, gli episodi erano intervenuti in occasione di un gioco di lotta e proprio tale circostanza era stata valorizzata in ricorso dal sacerdote, che pretendeva di salvarsi dalla condanna aggravata per l'assenza di connessioni dirette con l'esercizio delle sue funzioni.

Ma la Cassazione dice no: la pena resta di quattro anni di reclusione.

Corte di cassazione testo sentenza numero 1949/2017
Valeria Zeppilli

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