In Cassazione rigettato il ricorso del vicino che aveva lanciato una busta piena di acqua su una donna anziana per spaventarla

di Lucia Izzo - Screzi tra vicini che si risolvono in tragedia, quando un gavettone può diventare letale. Questo è quanto avvenuto nel caso all'attenzione dalla Corte di Cassazione, sezione terza penale, espressasi con la sentenza n. 47979/2016 (qui sotto allegata).

Il protagonista della vicenda aveva lanciato da una finestra una "busta di plastica piena d'acqua", provocando la morte dell'anziana vittima, di 86 anni, occorsa per insufficienza acuta cardio-respiratoria.

Il "gavettone", evidenzia la Cassazione, era stato volontariamente effettuato dall'imputato, dalla finestra della propria abitazione posta al secondo piano del palazzo in cui abitava, al fine di intimorire la vittima che si trovava in quel momento seduta davanti al portone di casa propria e che fu anche colpita.

L'originaria imputazione di omicidio colposo viene, in Corte d'Appello, riqualificata ex art. 586 c.p., "Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto", ma il giudice a quo deve dichiarare il non doversi procedere nei confronti dell'imputato in quanto il reato è estinto per prescrizione, confermando poi la condanna al risarcimento del danno in favore delle parti civili.

In Cassazione, l'imputato sostiene non esservi prova con elevato grado di probabilità quanto al ricondurre l'evento alla propria condotta, lamentando che le conclusione del giudice di merito si era fondata su presupposti fattuali non solo mai processualmente verificati (quali l'altezza della finestra dalla

quale è stato effettuato il lancio, il peso della busta, la posizione della vittima, il suo effettivo attingimento), ma in contrasto con la rilevata assenza di segni sul corpo della donna, dall'altro su considerazioni puramente congetturali, non potendosi logicamente far derivare dal rapporto di conoscenza con l'anziana vittima, la conoscenza delle patologie cardiache di cui si assume che soffrisse, congetture, afferma la difesa, superate dal richiamo a massime di esperienza che rischiano di attrarre nella sfera della colpevolezza ogni comportamento che possa ingenerare stress emozionali (come, per assurdo, anche il suono di un clacson).

Non v'è dubbio, spiegano gli Ermellini, della condotta del ricorrente (lancio del gavettone dall'alto per intimorire la vittima) nè circa il fatto che la vittima soffrisse di cardiovascolopatia sclerotica e neppure quanto alla causa immediata del decesso, ossia l'insufficienza acuta cardio-respiratoria.

Sulla riconducibilità dell'evento alla condotta, la Corte di appello, da un lato, fa proprie le considerazioni del Tribunale che, utilizzando massime di esperienza, aveva affermato "che l'essere attinti improvvisamente da un involucro contenente dell'acqua che si rompa al contatto con il corpo del destinatario determina conseguenze di aritmia, è fenomeno naturale che ciascuno può sperimentare su di sé", come confermato anche dalla relazione del consulente del PM che aveva spiegato in termini scientifici il meccanismo provocato da uno stimolo emozionale intenso sul sistema endocrino.

Per gli Ermellini, anche se è vero che il giudizio controfattuale governa sempre l'accertamento di sussistenza del rapporto di causalità, è altrettanto vero che tale giudizio si atteggia diversamente a seconda che l'evento sia imputabile a condotta omissiva ovvero commissiva dell'imputato.

Quanto alla concreta prevedibilità dell'evento, soccorre il principio di diritto secondo cui in tema di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, la morte è imputabile alla responsabilità dell'autore della condotta sempre che, oltre al nesso di causalità materiale, sussista la colpa in concreto per violazione di una regola precauzionale (diversa dalla norma che incrimina la condotta delittuosa del reato-base) e con prevedibilità ed evitabilità dell'evento, da valutarsi alla stregua dell'agente modello razionale, tenuto conto delle circostanze del caso concreto conosciute o conoscibili dall'agente reale.

Non vi è dubbio, nel caso di specie, che l'azione dell'imputato abbia innescato un meccanismo potenzialmente idoneo a provocare, alla luce delle concause preesistenti (la patologia cardiologica) e dell'età della vittima, il decesso di quest'ultima. Non risulta nemmeno dalle allegazioni difensive che nell'arco di tempo tra l'evento e la morte si siano inseriti meccanismi autonomi di sovrapposizione al decorso causale.

La Corte di appello ha altresì ritenuto la prevedibilità in concreto della condotta avuto riguardo alla sua portata lesiva e allo spavento che ne sarebbe derivato (il lancio dal secondo piano di una busta piena d'acqua che ha persino colpito la vittima), all'età avanzata di quest'ultima (più che ottuagenaria), al rapporto di conoscenza pluriennale con l'imputato che era in grado di apprezzare lo stato di declino fisico.

Non è manifestamente illogico, conclude la Cassazione, trarre dalla dinamica del fatto, dal contesto in cui si è verificato, dall'età della vittima e dai rapporti personali con l'imputato, la conclusione della prevedibilità in concreto dell'evento, che cioè il lancio improvviso e violento di una busta piena d'acqua, posto in essere a fini intimidatori, potesse cagionare reazioni fisiche prevedibilmente pregiudizievoli per la salute di una persona anziana. Il ricorso va dunque rigettato.

Cass., III sez. pen., sent. n. 47979/2016

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