Il reato ha carattere permanente e perdura sino al completamento dell'opera o sino al sequestro dell'area

di Lucia Izzo - In tema di attività edilizia priva di autorizzazione, non può ritenersi cessata l'attività se i lavori al momento del sopralluogo da parte dell'autorità non siano in corso: il reato di abuso edilizio ha carattere permanente e perdura sino al completamento dell'opera o al momento del sequestro dell'area. 

Lo ha stabilito la Corte d'Appello di Roma, sentenza n. 3389 del 5 maggio 2016 (qui sotto allegata), con cui la terza sezione penale ha confermato la condanna di un uomo per il reato di abuso edilizia.


La colpevolezza dell'imputato era stata provata dal Tribunale sulla base dell'accertamento della polizia municipale che, unitamente all'ufficio tecnico, aveva accertato in data 23/5/2011 l'esecuzione delle opere oggetto di contestazione, nonostante il provvedimento di sospensione dei lavori emesso dal comune del luogo il 21/8/2009 ed il successivo diniego della concessione in sanatoria. La ripresa dei lavori era stata denunciata dal confinante, assumendo essere il titolare dell'area adiacente il fabbricato da cui i lavori erano sconfinati.


Tra i motivi di gravame, l'imputato invoca la prescrizione essendo stati i sopralluoghi effettuati il 21/8/2009 e successivamente il 23/5/2011 ed avendo rilevato i testi che in tale ultima data i lavori non erano in corso. Per i giudici, tuttavia, va in primo luogo esclusa la supposta natura pertinenziale dell'intervento edilizio in questione, come ritenuta dal ricorrente, poichè Il Tribunale ha evidenziato le ragioni di fatto e giuridiche che escludono la natura di pertinenza delle opere abusivamente realizzate.


Sono numerose le caratteristiche del manufatto (l'ampliamento di un vano esistente mediante posa in opera di blocchi di cemento) che non consentono di valutare l'intervento come pertinenziale, a partire dalla pregressa esistenza della rimessa, e dalla zonizzazione dell'area di intervento come agricola. 


Inoltre, come rilevato dalla giurisprudenza, "affinché un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualità, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti". Per l'intervento in esame, comprendente un aumento di volumetria, non sarebbe stata sufficiente la DIA, ma sarebbe stato necessario il permesso di costruire, ai sensi dell'art. 10 co. 1 lett. c) D.P.R. n. 380/2001, che non è mai stato rilasciato.


Quanto alla invocata prescrizione, prosegue la Corte territoriale, le opere sono state certamente realizzate dopo il primo sopralluogo, il 21/8/2009, allorquando venne ordinata la sospensione dei lavori, ma altrettanto certamente esse sono state effettuate in data prossima al successivo sopralluogo del 23/5/2011. La circostanza che i lavori non fossero in corso non è sintomatica di una pregressa e remota cessazione delle attività edilizie abusive, che, per il loro carattere permanente, sino al completamento dell'opera, ovvero sino alla data in cui intervenga lo spoglio della disponibilità del bene da parte del titolare committente, per effetto di provvedimenti ablativi, perdura nei suoi effetti.


Nel caso di specie, conclude la Corte, i lavori non erano in corso, ma non erano neppure completati. Ad ulteriore conferma soccorre l'esposto del confinante che, in data 21/5/2011 ha denunciato la ripresa dei lavori che, evidentemente, in tale data erano ancora in esecuzione. Di tal che il reato deve ritenersi commesso ancora in data 23/5/2011, conseguendo che la prescrizione degli illeciti edilizi, tenuto conto delle interruzioni, ne avrebbe determinato l'estinzione solo il 23/5/2016.

Corte d'Appello di Roma, sent. 3389/2016

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