Il reato sussiste anche se non si tratta di un comportamento abituale essendo sufficiente anche una sola azione di disturbo

di Lucia Izzo - A integrare il reato di molestia sono sufficienti ripetute telefonate nel cuore della notte: lo ha stabilito la prima sezione del Tribunale di Taranto nella sentenza n. 721/2015.

La controversia aveva avuto origine da una denuncia presentata dall'imputato contro l'avvocato incaricato di gestire la causa di separazione tra lui e l'ex moglie e contro la stessa ex.

L'uomo, nella sua denuncia, sosteneva che il legale fosse colpevole di averlo offeso telefonicamente, ma, appreso il contenuto della denuncia, le parti denunciate presentavano una controdenuncia: la donna, in particolare, evidenziava di aver ricevuto dall'imputato diverse telefonate, circa sette/otto, nel lasso temporale che va dalle otto di sera alle cinque di mattina.

Sono le risultanze processuali a evidenziare in capo all'uomo la sussistenza della responsabilità circa il reato previsto dall'art. 660 c.p.: l'imputato, infatti, ha ammesso in sede di interrogatorio di aver telefonato all'ex ripetutamente durante la notte, chiamate che sono apparse "animate da petulanza e comunque da un biasimevole motivo che era appunto duello di indurre la ex a rinunciare al mandato difensivo".

Per i giudici sussiste il reato di molestia, trattandosi di un illecito "non necessariamente abituale, potendo essere realizzato anche con una sola azione di disturbo"; ciò che rileva è che la condotta sia caratterizzata da "petulanza o da altro biasimevole motivo, ossia da quel modo di agire pressante, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce per interferire nella sfera della quiete e della libertà della persona offesa".

Pertanto, l'imputato è responsabile del reato in epigrafe.


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