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Data: 11/10/2008 01:00:00 - Autore: www.laprevidenza.it
Un
avvocato era stato rinviato a giudizio nanti il giudice penale per
rispondere dei reati di falsità materiale continuata, truffa
aggravata ed appropriazione indebita aggravata; per gli stessi fatti
il professionista veniva sottoposto, altresì, a procedimento
disciplinare in quanto, ad avviso del Consiglio dell'Ordine
degli avvocati cui era iscritto l'avvocato imputato,
quest'ultimo aveva mantenuto, col compimento dei reati
contestategli, un comportamento “ lesivo delle prerogative e
delle funzioni di appartenere all'ordine forense e non conforme
alla dignità e al decoro professionale”. Il Consiglio
dell'Ordine emetteva provvedimento che radiava dallo il
professionista dall'albo, provvedimento confermato dal
Consiglio Nazionale Forense in sede di impugnazione avanzata
dall'avvocato.
Con
sentenza del 28 marzo 2006, n. 4893, le SS. UU., in diversa
composizione, su ricorso dell'avvocato radiato dall'albo,
hanno cassato con rinvio la decisione del CNF sul rilievo che il
giudizio disciplinare avrebbe dovuto essere sospeso, ai sensi
dell'art. 295 c.p.c., in attesa della decisione del giudice
penale, dalla quale poteva dipendere l'esito del procedimento
disciplinare, ai sensi dell'art. 653 c.p.p., (nel testo
modificato dalla L. n. 97 del 2001, art. 1, applicabile ai giudizi in
corso, in forza dell'art. 10, della cit. legge); il CNF ha
riassunto ex officio il processo e, con decisione depositata l'8
novembre 2007 oggetto dell'odierno ricorso, ha accolto in parte
l'impugnazione dell'incolpato, irrogando la sanzione
disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività
professionale per un anno, in conseguenza della sentenza penale di
assoluzione “perchè il fatto non sussiste”, per la
maggior parte degli episodi contestati, e perchè “il
fatto non costituisce reato”, per un episodio di falso
materiale.
L'interrogativo
di fondo è questo.
È
legittimo che il Consiglio Nazionale Forense, quale Organo giudicante
nel procedimento disciplinare riguardante gli avvocati, a seguito di
annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte di Cassazione,
fissi di ufficio il giudizio di rinvio dinanzi a sé in
mancanza di una iniziativa ad hoc delle parti interessate o del P.M.,
ai sensi della Legge Professionale n. 36 del 1934, artt. 50 e 56, con
riferimento all'art. 392 c.p.c. E segg., oppure se tale
iniziativa non costituisca violazione di dette norme, in assenza di
una disciplina specifica che gli attribuisca tale potere ?
La
“vecchia” giurisprudenza .
La
giurisprudenza meno recente che ha affermato il principio della
riassumibilità di ufficio del processo disciplinare a carico
di avvocati, osservano le S.S. U.U., risulta oggi anacronistica ed
in contrasto con il principio del giusto processo e della terzietà
del giudice ( ex art.111, 2 comma Cost., ), soprattutto se si
considera che questa “vecchia” interpretazione era
costruita “sulla base di indici sistematici non determinanti (
notifiche e comunicazioni di ufficio delle decisioni)”. Questa
Corte inoltre ha già avuto modo di precisare che “Nel
giudizio di impugnazione delle decisioni del Consiglio Nazionale
Forense dinanzi alla Corte di Cassazione, contraddittori necessari –
in quanto unici portatori dell'interesse a proporre
impugnazione e a contrastare l'impugnazione proposta –
sono unicamente il soggetto destinatario del provvedimento impugnato,
il Consiglio dell'ordine locale che ha deciso in primo grado in
sede amministrativa ed il Pubblico Ministero presso la Corte di
Cassazione, mentre tale qualità non può legittimamente
riconoscersi al Consiglio Nazionale Forense, per la sua posizione di
terzietà rispetto alla controversia, essendo l'organo
che ha emesso la decisione impugnata” (tra le altre v. Cass.
9075/2003; conf. 18771/2004).
Il
principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite nella sentenza
n.17938 del 2008: la “nuova” giurisprudenza.
La
Corte osserva prima di tutto come le norme sul procedimento
disciplinare degli avvocati non prevedono una specifica procedura di
riassunzione; tuttavia, il R.D. n. 37 del 1934, art. 67, u.c.,
inserito nel titolo 2^, che reca la disciplina “Dei
procedimenti davanti ai Consigli dell'ordine degli avvocati e
dei procuratori e davanti al Consiglio nazionale forense. Del ricorso
alle sezioni unite della Corte di cassazione”, contiene una
norma di chiusura, in forza della quale “si osservano, per il
rimanente, le disposizioni, in quanto applicabili, del procedimento
davanti alla Corte di Cassazione in materia civile”. Quindi,
conclude la Corte, il modello di riferimento procedurale è
quello civilistico/dipositivo. Ecco il principio espresso dalle
Sezioni Unite: “ la riassunzione del giudizio disciplinare
dinanzi al Consiglio nazionale forense a seguito di sentenza di
cassazione con rinvio, pronunciata dalle SS.UU. Della Corte Suprema
di Cassazione, deve essere fatta ai sensi dell'art. 392 c.p.c.,
con la conseguenza che l'eventuale riassunzione di ufficio
fatta dallo stesso Consiglio nazionale forense è inammissibile
e non impedisce l'estinzione del processo ai sensi dell'art.
393 c.p.c.”.
Dott.
Valter Marchetti, Patrocinatore Legale, Foro di Savona
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