La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24233 del 30 novembre 2010, ha ribadito che "il risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale derivante dal demansionamento e dalla dequalificazione del lavoratore postula l'allegazione dell'esistenza del pregiudizio e delle sue caratteristiche, nonché la prova dell'esistenza del danno e del nesso di causalità
con l'inadempimento, prova che, quanto al danno esistenziale, può essere fornita anche ricorrendo a presunzioni". I Giudici di legittimità, rigettando il ricorso di un datore di lavoro il quale riteneva erroneo il riconoscimento - da parte dei giudici di merito - del danno da demansionamento in favore di un proprio dipendente perché non sorretto da idonea prova, hanno ribadito, richiamando la sentenza n. 4652/2009, che "in caso di accertato demansionamento
professionale del lavoratore in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico-giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità della esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto". Spiegano i Supremi giudici come correttamente, nel caso di specie, la Corte d'appello abbia ritenuto che l'onere probatorio posto a carico del lavoratore può essere adempiuto, oltre che mediante prove di natura documentale e testimoniale, anche in via presuntiva.
Detta dimostrazione può ritenersi assolta, secondo le regole sancite dall'art. 2727 c.c., "allorché venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta (non in astratto) descrivano: durata, gravità, conoscibilità all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di (precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale, eventuali reazioni poste in essere nei confronti del datore comprovanti la avvenuta lesione dell'interesse relazionale, gli effetti negativi dispiegati nelle abitudini di vita del soggetto".

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