E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 37197 del 19 ottobre 2010
Possono essere usate come "prove atipiche" le riprese "di atti non comunicativi" girate da una dipendente sul luogo di lavoro per provare le molestie subite dal datore di lavoro. E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 37197 del 19 ottobre 2010, che annulla con rinvio un verdetto di assoluzione "perchè il fatto non sussiste" pronunciato dal tribunale di Trani nei confronti di un datore di lavoro accusato di "vessazioni, molestie, complimenti lascivi e atti sessuali" compiuti con la minaccia di licenziare la dipendente. La vittima, su consiglio delle forze dell'ordine, aveva filmato le molestie avvenute nel suo studio ma secondo i giudici di merito le videoregistrazioni ambientali erano inutilizzabili "perché compiute oltre il termine dell'autorizzazione". La Suprema Corte, discordando con tale tesi e accogliendo i ricorsi della donna e della Procura
di Trani, precisa che "con la ripresa visiva, sia pure eseguita furtivamente, la parte lesa non ha violato con interferenze indebite la intangibilità del domicilio né la necessaria riservatezza su attività che si devono mantenere nell'ambito privato" riprendendo "illeciti che la riguardavano" e trovandosi "nel suo abituale ambiente di lavoro che costituiva il suo domicilio per un periodo di tempo limitato della giornata, nell'arco del quale sono stati commessi i fatti".

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