È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 33741 depositata il 16 settembre 2010
Integra il reato di estorsione il comportamento del creditore che utilizzi la forza e le minacce, anche se dall' "esteriore apparenza di legale" per richiedere il credito vantato nei confronti del debitore. È questo il principio enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 33741 depositata il 16 settembre 2010, in particolare dalla sesta sezione penale che, dopo aver rigettato il ricorso proposto dal creditore già agli arresti domiciliari
, avverso la misura cautelare preventiva, ha spiegato che il comportamento del creditore nei confronti del debitore non può considerarsi come "esercizio arbitrario delle proprie ragioni" sia per la sproporzione della somma pretesa, e sia per la modalità con cui si è richiesto il pagamento. Come si legge dalla parte motiva della sentenza di legittimità, infatti, la minaccia, "è consistita un un'apprezzabile pressione psichica esercitata abilmente dall'imputato che ha rappresentato alla vittima una serie di conseguenze negative in caso di mancato pagamento del credito vantato, alludendo all'intervento di persone "poco raccomandabili" che gestivano la società creditrice e prospettandogli, indirettamente, uno stato di pericolo per la sua stessa incolumità personale". La Corte ha poi spiegato che "una minaccia dall'esteriore apparenza di legalità può costituire illegittima intimidazione idonea a integrare l'elemento materiale del reato di estorsione
nel caso in cui è finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto e dunque non la controprestazione dovuta; nella specie, la valenza intimidatoria della minaccia è costituita anche dalla rilevata sproporzione tra credito originario e somma pretesa, situazione che trasforma la richiesta di una prestazione in un risultato iniquo perché ampiamente esorbitante rispetto a quanto si sarebbe conseguito attraverso l'esercizio del diritto, che viene strumentalizzato per uno scopo contra ius."

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