Con la sentenza n. 249/2010 i giudici di palazzo della Consulta hanno esplicitato le motivazioni sottese alla decisione di bocciare l'aggravante della clandestinità in quanto ritenuta discriminatoria. Pertanto "l'aggravante della clandestinità", in quanto incostituzionale, cesserà di spiegare i suoi effetti nel nostro ordinamento giuridico. In particolare, la Corte ha bocciato l'art. 61, n. 11-bis, c.p., l'art. 1, comma 1, della legge del 15 luglio 2009, n. 94 e l'art. 656, comma 9, lettera a) c.p.p. (ma limitatamente alle parole "e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, numero 11-bis), del medesimo codice"). Secondo infatti il giudizio del giudice delle leggi, tale aggravante risulterebbe del tutto discriminatorio , in quanto consentirebbe di ritenere un reato più grave se commesso da extracomunitario invece che da un cittadino italiano. Tale giudizio contrasterebbe con i principi dell'Unione Europea
e con l'articolo 3 della Costituzione italiana che contiene cardine del nostro ordinamento e cioè il principio di uguaglianza. Non solo: tale aggravante si pone inoltre in contrasto con l'articolo 25 della Costituzione, il quale prevede che la pena debba derivare non dalle qualità dell'imputato ma semplicemente dal comportamento.

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